Era un uomo e uno scrittore gentile e ironico, scrutatore di dettagli, quasi l’opposto dell’amatissimo cugino Pier Paolo Pasolini. Nico Naldini - scomparso a 91 anni a Treviso, dove da tempo si era ritirato dopo una lunga vita tra il Friuli, Milano e Roma iniziata con una smilza raccolta di poesie in friulano - condivideva molto con lui, per esempio il legame con la madre e l’omosessualità, ma non il senso della vita come tragedia. Era un intellettuale lucido e pragmatico (per esempio si oppose sempre alla tesi del complotto, per quanto riguardava l’omicidio di Pier Paolo), amava una non certo ingenua semplicità. È stato un grande biografo, e un poeta da rileggere.

La sua vera ricchezza è nella lettura, nell’interpretazione, nella comprensione di un numero rilevante di amici, come Giovanni Comisso, De Pisis, Parise o Penna – ma l’elenco va esteso almeno a Soldati, Elsa Morante, Andrea Zanzotto. Le biografie di Pasolini, Leopardi, Comisso, Parise restano i suoi lavori più importanti, originalissimi anche come struttura; e le poesie, più segrete, cui tornò dopo la lunga militanza editoriale, lasciano una traccia ineludibile di poeta vero, una sorta di Kavafis postmoderno; molte dedicate all’amore omosessuale. «Quando mi smarrisco dentro di me, trovo un po’ di gentilezza nella comprensione del mondo» ci diceva a proposito di una sua raccolta (La curva di San Floreano, Einaudi, 1988). Nella letteratura come nella vita sapeva essere non solo gentile – che è poi la chiave dell’uomo e della sua umanità - ma anche ironico, nonostante facile non fosse, soprattutto al tempo dei suoi esordi.

Giangiacomo Feltrinelli lo voleva giovanissimo direttore di libreria. «E mi assunse» ci raccontò. «Il poeta Nanni Balestrini gli disse però che ero omosessuale, e nel giro di un'ora mi trovai senza lavoro. In quel caso direi che Feltrinelli, benché laico e di sinistra, si spaventò; temeva forse che avrei spinto solo i libri di scrittori omosessuali». Il tempo era ormai passato, restava un sorriso sapiente e beffardo.

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