L’offensiva militare delle forze di Khalifa Haftar rischia di trasformarsi in un boomerang politico per il generale. Al suo quarto giorno la marcia su Tripoli annunciata dal feldmaresciallo deve fare i conti con le resistenze sul campo e una controffensiva diplomatica planetaria tale da stimolare il «risveglio» dell’Italia colta pressoché impreparata dall’azione inaugurata da Haftar il 3 aprile. L’obiettivo delle formazioni dell’Operazione Karama (ribattezzata «Diluvio di dignità») era quello di mettere in scacco le milizie di Tripoli, definite «terroristi», attraverso il consueto schema di alleanze tattiche o di interessi con le realtà tribali. Lo stesso che aveva permesso all’Esercito nazionale libico (Lna) di prendere il controllo temporaneo di zone del Sud, specie a ridosso della mezzaluna petrolifera.

«Tradimento»

Fayez al Sarraj davanti alle telecamere tuona contro il generale accusandolo di «tradimento» per quello che definisce un colpo di Stato. La situazione vede ora un certo numero di forze fedeli al generale, riconducibili alla tribù Farjani da cui proviene lo stesso Haftar, a ridosso di Qas Ben Gashir, in prossimità dall’aeroporto internazionale di Tripoli, a circa 25 km in linea d’aria dal centro della città.

La reazione delle milizie fedeli al Governo di accordo nazionale è avvenuta nel giro di alcune ore con l’invio nell’area, divenuta il principale «ground zero» della contesa tra opposte fazioni, di numerosi mezzi con l’obiettivo di ristabilire gradualmente il controllo.

Il blitz fallito

Tra le formazioni impegnate in questa operazione ci sarebbero anche unità della forza di deterrenza Rada, realtà salafita filosaudita, che in un primo momento si pensava pronta ad allinearsi con il generale. «In realtà all’interno della formazione c’è una spaccatura tra chi è incline ad Haftar e chi mantiene la sua lealtà a Fayez al Sarraj», spiegano fonti informate. «Quel terreno fertile che il feldmaresciallo pensava di trovare a Tripoli e dintorni, tanto da poter condurre un blitz di 48 ore facendo scacco alle milizie di Tripoli ancor prima che la comunità internazionale ne prendesse coscienza, non lo è più di tanto», affermano fonti libiche. Lo dimostrerebbe il fatto che lo sbarco delle sue motovedette a Ovest della capitale, con cui doveva perfezionare la manovra a tenaglia, proprio grazie all’appoggio di milizie locali, «si è dimostrato un buco nell’acqua, o ancor peggio un’imboscata che ha portato alla cattura di oltre 120 combattenti haftarini».

I due fronti dell’offensiva

Ecco allora che il generale si trova a fare i conti con la controffensiva di Misurata, città-Stato alleata del Governo di accordo nazionale, che ha mobilitato su due fronti al-Bunyan al-Marsous, la cabina di regia militare protagonista della guerra contro l’Isis. Il primo verso Tripoli, per rafforzare la controffensiva con l’arrivo di 350 mezzi, a cui si aggiungono 100 mezzi inviati da Zintan, il secondo a Jufra dove le forze guidate dal generale Haddad sono giunte in prossimità dell’aeroporto da dove partono i caccia del generale.

Ma Haftar deve fare i conti anche con la controffensiva diplomatica che vede (quasi) tutti compatti, persino chi, come la Francia, ha dato appoggio e ha assecondato Haftar nei suoi slanci bellici.

Gli Usa, sollecitati all’Onu dalla Gran Bretagna, in una lettera sottolineano la loro contrarietà all’azione militare. La Russia esorta a una soluzione pacifica, così come l’Egitto, altro sponsor del generale, assieme alla Francia. Che per bocca del ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, si dice «sulla stessa linea dell’Italia». Quale? «Nessuno è pronto ad accettare un rovesciamento attraverso azioni militari», dice Enzo Moavero Milanesi, sollecitando una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri del G7.

L’appello dell’Onu

«Fermatevi» è l’appello che arriva all’unisono dal Palazzo di Vetro dove Antonio Guterres - riferiscono fonti Onu - avrebbe manifestato tutta la sua ira nei confronti dell’inviato Ghassan Salamé per l’impreparazione mostrata davanti al doppio guanto di sfida lanciato da Haftar (l’avvio dell’operazione militare e la manifestazione di voler proseguire l’offensiva) proprio durante la visita del segretario generale in Libia ed in vista della Conferenza nazionale di Ghadames in agenda per il 14-16 aprile. Tanto che Salame ha tentato di riprendere in mano la situazione proponendo una conferenza «riparatoria» il 9 e 10 aprile a Ginevra, a cui Haftar e Sarraj avrebbero dato un assenso che appare, più che altro, una possibile via d’uscita in caso le cose volgessero a svantaggio dell’uno o dell’altro.

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