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«Blade Runner 2049», 30 anni dopo si va ancora a caccia di androidi

di Andrea Chimento

2' di lettura

Il sequel più atteso dell'anno è il grande evento del weekend in sala: «Blade Runner 2049», seguito del capolavoro di Ridley Scott del 1982, esce questa settimana nei nostri cinema ed è un titolo che vi consigliamo di non perdere.
Diretto da Denis Villeneuve, il film è ambientato nel 2049, trent'anni dopo gli eventi raccontati nel celebre capostipite con protagonista Harrison Ford.
Ford è ancora presente nei panni di Rick Deckard, ma al centro della nuova pellicola c'è l'agente K (interpretato da Ryan Gosling), un “blade runner” di ultima generazione che scopre uno sconvolgente segreto che potrebbe collegarsi al suo passato.

Progetto ambizioso e rischiosissimo, «Blade Runner 2049» riesce nel miracolo di risultare suggestivo e affascinante, senza cadere nella trappola di essere soltanto una semplice operazione nostalgica.
Il regista Villeneuve e i due sceneggiatori Hampton Fancher e Michael Green hanno il giusto approccio narrativo e visivo, costruiscono una vicenda capace di appassionare, solo a tratti leggermente macchinosa ma sempre coinvolgente dal primo all'ultimo minuto.

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Il grande ritorno di Blade Runner

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La riflessione sull'umanità dei personaggi tocca corde particolarmente profonde, grazie soprattutto alla notevolissima costruzione del protagonista K, una figura sfaccettata e scritta magnificamente, oltre che interpretata con la giusta intensità da Gosling in una delle prove più convincenti della sua carriera. Riescono addirittura a commuovere le sequenze in cui il personaggio si interroga sulla sua natura, il suo passato e persino sul suo bisogno d'amore.

Altrettanto convincente è il villain di turno, Niander Wallace, interpretato da Jared Leto che si conferma eccellente nei panni di un personaggio malvagio dopo aver dato volto al temibile Joker di «Suicide Squad».

Ciò che più colpisce, però, è la grande capacità di Villeneuve di dare equilibrio a una messinscena tanto complicata, alternando sequenze d'azione a momenti statici e riflessivi, oltre che profondamente filosofici come quelli presenti nel film di Ridley Scott (pellicola che, è sempre bene ricordarlo, univa due generi come la fantascienza e il noir con uno spessore narrativo mai visto prima sul grande schermo).

Villeneuve, che aveva fatto conoscere il suo talento con «La donna che canta» (2010) prima di ottenere maggiore successo con pellicole come «Sicario» (2015) e «Arrival» (2016), non è mai stato così bravo e ha firmato il suo film migliore, anche se parte del merito va alla straordinaria fotografia di Roger Deakins, che si meriterebbe di ottenere la quattordicesima nomination agli Oscar in carriera, e alla scenografia di Dennis Gassner.

Non ci sono probabilmente frasi che rimarranno nella storia della settima arte come quella pronunciata da Rutger Hauer nel film originale («Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…»), ma sono numerose le sequenze che rimarranno impresse nella memoria al termine della visione. Una su tutte, lo scontro tra K e Deckard in mezzo a una sala in cui vengono proiettati gli ologrammi di alcune delle icone del ventesimo secolo.

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