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Manovra, la dote extra in vista vada al lavoro

di Dino Pesole

(FOTOGRAMMA)

2' di lettura

Una dote aggiuntiva di riserva, variabile tra i 700-800 milioni e un miliardo (se non oltre), sarà messa in campo dal Governo nel corso dell’esame parlamentare della manovra. E stando alle aperture annunciate ieri mattina in Senato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan («il sistema sanitario è l’ambito in cui andranno valutate misure di miglioramento e di efficientamento»), si andrà con ogni probabilità incontro alle richieste di Mdp (inclusa la probabile rimodulazione del superticket da 10 euro applicato alle prestazioni di diagnostica e specialistica). Si prepara il terreno, poiché tra breve partirà la girandola degli emendamenti alla manovra.

Del resto l’invito a intervenire sul versante della spesa sanitaria compare anche nella risoluzione della maggioranza sulla Nota di aggiornamento al Def. Il punto è che il costo dell’operazione, di per sé ragguardevole (in totale attorno agli 800 milioni), stando allo schema delle coperture e delle misure in arrivo, così come definito dalla nota integrativa presentata da Padoan alle commissioni Bilancio, equivale a oltre il doppio dello stanziamento destinato al taglio del cuneo. Per la decontribuzione dei giovani neoassunti nel 2018 sono infatti destinati al momento 338 milioni, all’interno di una dote di 700 milioni diretta allo sviluppo. I margini sono stretti, il tetto del deficit all’1,6% è sostanzialmente invalicabile (almeno questa è l’intenzione di partenza), le coperture sono blindate e per buona parte destinate alla neutralizzazione delle clausole di salvaguardia (l’aumento di tre punti dell’Iva per 15,7 miliardi), e alle spese indifferibili, in primis al finanziamento delle missione internazionali e la tranche 2018 dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego.

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Dunque, lo spazio aggiuntivo che il Governo è disposto a mettere a disposizione, seguendo lo schema classico della superiore ragione politica (al Senato senza i voti di Mdp si rischia), sarà anch’esso sostanzialmente ipotecato. Ne consegue che i margini per rendere più corposo il taglio del cuneo fiscale, esigenza primaria per rendere credibili e strutturali i nuovi target di crescita indicati dallo stesso Governo (1,5% sia quest’anno che nel 2018 e 2019), si riducono al lumicino, in pratica sostanzialmente si annullano. Una scelta inevitabile? Se la coperta è corta s’impongono delle scelte. Lo schema delle coperture per una manovra che al momento si aggira attorno ai 20 miliardi vede in prima linea 10 miliardi di maggior deficit. In tal modo si raggiunge un deficit programmatico dell’1,6%, rispetto a un “tendenziale” dell’1 per cento.

Poi vengono indicati 5,1 miliardi di entrate aggiuntive e 3,5 miliardi alla spesa. Se, come è lecito prevedere, gli interventi allo studio sul versante della sanità verranno coperti da contestuali rimodulazioni di spesa, allora forse varrebbe la pena di provare ad alzare l’asticella dei tagli (ponderandone bene l’impatto per non ingenerare effetti recessivi), aprendo così lo spazio ad un più corposo intervento sul costo del lavoro. Il nodo delle partecipate è in campo, al pari dello sfoltimento delle agevolazioni fiscali. Operazioni politicamente poco perseguibili? Per rendere la ripresa più vigorosa e strutturale forse varrebbe la pena di tentare.

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