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Diamanti, indagine sulla bolla dei prezzi

di Nicola Borzi

(Afp)

4' di lettura

Anno dopo anno, i listini dei diamanti da investimento venduti allo sportello da Intermarket Diamond Business (Idb) e Diamond Private Investment (Dpi), i due principali broker che controllano il 70% del giro d’affari nazionale, hanno continuato a crescere al di fuori di qualsiasi rapporto con i prezzi di mercato, sino a livelli da bolla. Ma ora i risparmiatori italiani, che in tre lustri hanno investito nelle pietre oltre due miliardi di euro — 300 milioni nel 2015 e circa mezzo miliardo l’anno scorso, l’ultimo della bonanza , pretendono risposte. Un primo chiarimento arriverà a giorni con le decisioni dell’Antitrust sulle pratiche commerciali di Idb e Dpi.

Il settore nazionale dei diamanti da conservare in cassaforte conta una trentina di operatori, spuntati come funghi anche grazie a un vuoto legislativo che, in mancanza di alcuni presupposti formali, sino a pochi mesi fa li ha tenuti fuori dai radar dei controlli. Il business è nato da un’intuizione seguita ai crack delle banche di Sindona: le pietre sono state presentate come il “bene rifugio” durevole per eccellenza, facile da trasportare (e da nascondere al Fisco), i cui prezzi in costante ascesa — nominale — promettevano riparo dall’inflazione e dalle oscillazioni dei mercati finanziari. Ma il meccanismo si è inceppato: sin dal 2014 Plus24, il settimanale di risparmio del Sole 24 Ore, ha lanciato numerosi alert. Sono seguite, a ottobre e novembre 2016, due puntate di Report, la trasmissione d’inchiesta di Rai3. A febbraio scorso la Consob, in collaborazione con Bankitalia e Antitrust, ha finalmente dato il via alle verifiche, mentre la Procura di Milano indaga per truffa: a giugno ha perquisito cinque delle numerose banche che hanno collaborato ai collocamenti, incassando commissioni per valori arrivati sino al 20% del prezzo pagato dai risparmiatori.

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La bolla dei listini
Il Sole 24 Ore ha ricostruito il trend dei prezzi di vendita delle pietre in base ai dati contenuti nei listini pubblicati da Idb e Dpi. Sono stati analizzati i corsi dei diamanti da un carato: si passa dai 29.800 euro di gennaio 2002 ai 48mila del luglio scorso. Nello stesso periodo, secondo i dati Reuters ricalcolati in euro, i prezzi di gemme della stessa pezzatura e con identici indici di colore e purezza oscillavano invece tra 8.100 e 21.200 euro. Il divario tra le due serie è cresciuto in parallelo ai rincari segnalati da Idb e Dpi. Se a gennaio 2002 il gap tra prezzi Reuters e valori dei broker era a 16.400 euro, ad aprile scorso era di 38.500 euro. I grafici a fianco mostrano la forbice sempre più larga tra i dati Reuters e i valori allineati attribuiti alle stesse pietre, nelle medesime date, dai due operatori: i diamanti sono stati venduti dai due broker ai risparmiatori italiani a prezzi in crescita lineare, con una progressione che non trova riscontri sul mercato internazionale.

LA FORBICE DEI PREZZI PER I DIAMANTI DA UN CARATO

Valori in euro e var. % a fine periodo per pietre di 1 carato, categoria colore River D, Purezza IF. (Fonte: elab. Il Sole 24 Ore su prezzi IDB e Polished Prices – Reuters)

LA FORBICE DEI PREZZI PER I DIAMANTI DA UN CARATO

Le evidenze nei bilanci
Le anomalie di questi contratti emergono anche dall’esame di oneri e fiscalità. Le commissioni versate dai due principali broker alle banche, che identificano tra i propri clienti gli investitori interessati, li segnalano e ne “tramitano” gli ordini agli intermediari che piazzano le pietre, viaggiano tra il 10% circa di uno dei maggiori istituti italiani fino al 15-20% pagato alle banche da un altro operatore che vende agli sportelli. Si aggiunga l’Iva (22%) a carico del risparmiatore, et voilà: l’investimento iniziale, per il solo impatto di imposte e commissioni di vendita, è già decurtato di una quota variabile dal 32 al 42 per cento.

I CANALI CHE DALLE MINIERE PORTANO SINO ALLE GIOIELLERIE

Canali di distribuzione delle pietre dagli estrattori alle vendite finali di prodotti da gioielleria sul mercato retail, compresi i prodotti sintetici e le pietre riciclate. Dati per Paese, canale e tipologia di pietre. Stime 2016 in miliardi di dollari, alcuni dati sono ancora soggetti a verifica finale

I CANALI CHE DALLE MINIERE PORTANO SINO ALLE GIOIELLERIE

A questa osservazione si aggiungono le evidenze tratte dai bilanci. I conti riclassificati del gruppo Idb registrano dal 2005 al 2016 vendite totali per 896,5 milioni e costi delle materie prime per 331,2: la differenza di 565 milioni è pari al 170%. Un analogo esame condotto sui bilanci dal 2007 al 2015 di Dpi e della sua controllante Magifin segna vendite per 202,3 milioni e costo delle materie prime di 99,3: la differenza di 103 milioni “vale” il 100 per cento.
Non tutto il differenziale resta però a Idb e Dpi. Oltre al personale, nel periodo Idb ha pagato costi per servizi (in larga parte commissioni girate alle banche) per 277 milioni, mentre Dpi-Magifin per 55,3 milioni. In nove esercizi, Dpi-Magifin ha segnato utili totali per 30 milioni, con dividendi per “appena” 1,5 ma con un valore dell’equity passato da 148mila euro a 40,8 milioni. In 12 bilanci, il gruppo Idb ha registrato utili netti totali per 168 milioni e staccato 121 milioni di dividendi, con l’e quity cresciuto da 13mila a 52,6 milioni. Dai conti 2016 di Idb emerge poi che i clienti hanno lasciato pietre proprie in deposito alla società per un valore di 671,9 milioni (erano 563,9 milioni a fine 2015).

La difesa degli operatori
Le due società spiegano che i loro listini includono i costi di molti servizi: certificazione gemmologica, garanzia etica, assicurazione, ricerca di acquirenti per chi vuol rivendere le pietre a un prezzo certo. Proprio quest’ultima offerta, però, comporta commissioni aggiuntive e differenzia le pratiche commerciali di Idb e Dpi da quelle di altri operatori. Con l’avvio delle inchieste, a febbraio Dpi, che si appoggia alle reti di Intesa Sanpaolo, Mps e altri istituti, ha ribadito la propria correttezza e trasparenza, dicendosi disponibile a collaborare con le autorità. Anche Idb, che lavora con UniCredit e Banco Bpm, ha dichiarato «piena disponibilità a collaborare con gli enti preposti». Da allora Idb, il broker più antico, ha avviato una “riorganizzazione interna”. interrompendo vendite e pubblicazione di listini che Dpi invece prosegue. A giugno Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, UniCredit, Mps e Popolare di Bari sono state perquisite dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta per truffa della Procura di Milano. Nessun soggetto perquisito ha rilasciato dichiarazioni.

Il Sole 24 Ore ha rivolto numerose domande a Idb e Dpi-Magifin, senza ottenere risposte di merito. Con una nota Dpi ha ribadito che «le indagini dinnanzi all’autorità giudiziaria impongono l’obbligo di assoluta riservatezza. Saremo ben lieti, a conclusione di queste, di fornire dettagliate ed esaustive risposte a tutti gli interrogativi posti, non avendo alcunché da nascondere o da temere dalla pubblicazione e divulgazione di fatti e circostanze riguardanti la gestione del nostro gruppo». Nel frattempo, ai risparmiatori non resta che attendere le valutazioni in arrivo dall’Antitrust.

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