lutto nel mondo della musica

Addio a Mario Bortolotto, musicologo affabulatore

di Carla Moreni

Mario Bortolotto (1927-2017)

2' di lettura

Aveva un accento, tutto suo, di sapore friulano, inconfondibile. Anche certe furie sferzanti, lo caratterizzavano: spregiudicate, fuori da ogni giro di scuola o di potere. Le liberava senza ritegno già negli intervalli di una esecuzione, e cadevano lapidarie, come oracoli. Ma soprattutto Mario Bortolotto, musicologo e critico musicale, scomparso il 27 settembre, a 90 anni, aveva inventato una scrittura. Ossia uno stile, un linguaggio, fatto di somma creatività e cultura, destinato a raccontare la musica con tratti unici.

Forma e contenuti potevano spesso risultare criptici, bisognosi di un periodo di iniziazione. Ma anche questo faceva parte del gioco, premeditato: una volta entrati nel cerchio, da quel magnetismo affabulatorio non si usciva più.
Curioso, appassionato, fuori dagli schemi, Bortolotto vantava un fiuto straordinario per le novità. Sia quelle del presente, sia quelle del passato, dimenticate. Quando lo incontravi, ad una “prima”, borbottando ti sciorinava un numero: era il suo nuovo record, la tessera aggiunta ad un elenco di opere che sembrava interminabile. Le aveva ascoltate tutte. E tutte le ricordava, con la memoria prodigiosa dei grandi. Amava i titoli importanti, ma con la stessa passione abbracciava i minuscoli. Non stava mai nel mezzo. Lo trovavi a seguire un debutto di Boulez oppure a un recupero di antiquariato barocco. A tavola, usciti da teatro, era imbattibile. Impossibile stargli al passo.

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Della sua ricca bibliografia, il testo più citato è “Fase seconda. Studi sulla Nuova Musica”, pubblicato per Einaudi (1969-1976) e poi ripreso da Adelphi, tradotto e di successo anche all’estero: un ampio studio sulla contemporaneità del dopo-Webern, con una esaustiva panoramica dei compositori italiani della seconda metà del Novecento, da Berio a Donatoni, Bussotti, Clementi, Castiglioni. “Consacrazione della casa” era uscito nel 1982 (Adelphi), ogni capitolo una monografia su un autore e la sua produzione teatrale, Puccini e Čaikovskij pietre miliari, riscattati dalla glassa retorica e riscoperti nella autentica modernità.

Nel carnet dei suoi capolavori preferiti contava “Maestri cantori” di Wagner, lo Strauss di “Arianna a Nasso” e “Capriccio”, “Lulu” di Berg e poi il Mozart di “Nozze di Figaro”, nonché tutto il Rossini buffo. Per i suoi ottant’anni, Jacopo Pellegrini e Guido Zaccagnini curarono il volume di scritti a lui dedicati “Vivere senza paura” (EDT), dove spiccavano testi di Boulez, Luis De Pablo, Aldo Clementi, Giorgio Pestelli e Mario Messinis. Nato a Pordenone, Bortolotto aveva studiato medicina a Padova, e a Pavia si era laureato in filosofia. Dopo aver insegnato a Venezia, Bologna (DAMS) e Salerno, per vent’anni aveva tenuto cattedra all’Università di RomaTre. Tra le sue passioni segrete, le scarpe inglesi e le cravatte francesi: non a caso, adorava l’operetta.

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