Stupro di Catania, persino Gramellini si accorge che quando a violentare sono africani scatta la “censura”

6 Feb 2024 13:24 - di Gabriele Alberti
Stupro Catania gramellini

Non è sfuggito a Massimo Gramellini come lo stupro della ragazzina di Catania ad opera del branco di egiziani sia stato “retrocesso” troppo presto nelle “retrovie” dei quotidiani. La visibilità si è offuscata in poco tempo, troppo tempo, se commisurata alla gravità dell’episodio. Molto apprezzabili le considerazioni dello scrittore, editorialista e conduttore su La7, che pone la questione con due domande: “La storia della ragazza catanese di tredici anni stuprata dal branco sotto gli occhi del fidanzatino non è scivolata un po’ troppo in fretta nelle retrovie della nostra attenzione”?

13enne stuprata, Gramellini: “Vittima di un sol giorno”

La risposta è sì. Siamo talmente d’accordo con lui, che già domenica scorsa sul Secolo d’Italia notammo come la notizia drammatica su Stampa, Repubblica, Fatto, Domani non avesse meritato neanche un richiamo in prima pagina. Cosa che in verità ha fatto il Corriere. Interessante l’altra domanda posta da Gramellini nella sua rubrica il Caffè. “Mi chiedo: se i sette violentatori fossero stati dei giovanotti della Catania-bene, quel racconto da incubo non avrebbe giustamente inondato le piazze mediatiche col frastuono di mille indignazioni. E adesso non saremmo tutti qui a interrogarci sui valori della generazione che abbiamo allevato e sulla insostenibile persistenza di una cultura patriarcale?”. Da applausi. Anche ad un conduttore attento al politicamente corretto non fa velo osservare dei meccanismi di autocensura che scattano spontanei.

Gramellini: “Se gli stupratori sono africani si dà meno risalto alla notizia”

Da notare che la sinistra ha subito accusato il centrodestra di strumentalizzare politicamente la notizia. Da notare, ancora, che Gramellini ha fatto centro perché, ad esempio, proprio in serata di cultura patriarcale tout court ha parlato una scrittrice di origine ghanese su Rete4 da Nicola Porro a “Quarta Repubblica”; derubricando la cultura di provenienza dei sette egiziani del branco autori dello scempio sulla 13enne e sul suo fidanzato. Per cui l’editorialista prosegue il suo ragionamento:

“Se gli stupratori fossero stati catanesi avremmo parlato di cultura patriarcale”

“Nel caso di Catania, invece, i violentatori sono nordafricani e scatta inesorabile, anche in me, la trappola dell’imbarazzo autocensorio, alimentata da un pregiudizio che esiste e non è semplice da rimuovere. Perché, se racconto di sette giovani catanesi che hanno violentato una ragazzina, nessuno penserà che io ce l’abbia con Catania; né si sentirà autorizzato a guardare male il primo catanese che passa. Mentre quando gli stupratori sono africani, il timore — per non dire la certezza — di alimentare il pregiudizio razzista induce a ignorare un dato di fatto; a tacere un pezzo di realtà e a dare meno risalto alla notizia”. L’onestà intellettuale di Gramellini lo porta a concludere che così facendo si impedisce di focalizzare un problema grave che prima o po8i andrà affrontato: “Così si finisce per eludere un dibattito serio sul contesto sradicato e spesso mal gestito in cui vivono tanti adolescenti maschi appena sbarcati in Italia. E per commettere un torto ulteriore verso quella ragazza, facendola sentire una vittima di serie B”.

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