L'Europa di Craxi. Storia “incredibile” di un blitz e nascita di Maastricht

Oramai gli anniversari di eventi o di personaggi del passato si trasformano sempre più spesso sui media e sui social in altrettanti inni alla gloria, ma a questo destino sfuggono spesso i personaggi più controversi: per esempio Bettino Craxi, che pure ha lasciato tracce profonde di sé in diversi ambiti, nazionali e internazionali. In occasione del ventiquattresimo anniversario della sua scomparsa, la Fondazione Craxi dedica una mostra fotografica, da oggi ad Hammamet, su un tema sottostimato da storici e amici: il contributo di Craxi alla costruzione dell’Europa. Le foto ritraggono Craxi assieme ai principali leader dell’epoca e tanto basta, se si pensa ad oggi, a suscitare una prima vertigine: allora la scena era calcata da personalità come Helmut Kohl, François Mitterrand, Margaret Thatcher, Jacques Delors, Felipe Gonzalez, Olof Palme. Ma proprio la “convivenza” con questi giganti consente di misurare meglio sullo scenario europeo l’azione di un personaggio, come Craxi, la cui fama è invece legata ad altri eventi internazionali, come la vicenda di Sigonella o il decisivo appoggio agli euromissili, che come ammisero anni dopo dalla Casa Bianca, fu parte importante nella caduta dell’impero sovietico. E tuttavia l’apporto di Craxi, da presidente del Consiglio, nel tragitto che portò alla nascita del nucleo più consistente di Unione europea, è ben descritto dalle parole di un personaggio come Jacques Delors, poco incline alla retorica: “In occasione del Consiglio europeo di Milano del 1985 Craxi fece una cosa incredibile”. E in effetti, in quella circostanza si determinò un evento, che non era accaduto prima e non si sarebbe ripetuto dopo: rompendo un tabù solenne e formale, il Consiglio votò a maggioranza su una questione dirimente. E questo grazie ad un escamotage e ad un’azione congiunta architettata dal suo ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, dalla delegazione tedesca guidata da Kohl e che Craxi finalizzò con un blitz. Un exploit determinato da quel che fu il suo mantra durante tutta la sua vicenda politica: la politica ha un senso se si prende delle responsabilità, se guida e non si lascia guidare dagli eventi o da altri poteri. Così fu in occasione del vertice europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985. In quegli anni il contesto era ben diverso da quello attuale: la Comunità era soltanto libera circolazione delle merci e politica agricola, mentre sul piano politico e dell’unione monetaria si stagnava ed era stato ridimensionato (da Francia e Gran Bretagna) un ambizioso Piano Genscher-Andreotti che tra l’altro prevedeva il futuro ampliamento dell’uso del voto a maggioranza qualificata per il Consiglio. Alla vigilia del vertice di Milano era stato il ministro degli Esteri Andreotti a preannunciare l’intenzione della presidenza italiana di convocare una successiva Conferenza intergovernativa, incaricata di “negoziare un Trattato che realizzi compiutamente l’Unione europea”. Un’accelerazione che fu osteggiata da Thatcher, dai danesi e dai greci. Ma furono abilissimi gli sherpa italiani e tedeschi a scovare l’articolo 236 del Trattato, che avrebbe consentito di decidere a maggioranza sulla convocazione della Conferenza. Thatcher e Papandreu si opposero fino all’ultimo ma Craxi andrò fino in fondo: fece mettere ai voti la proposta, che passò con sette voti a favore e tre contrari. Mai in un Consiglio europeo si era presa una decisione a maggioranza. Thatcher era infuriata e molti anni dopo Delors scrisse che Craxi fece “une chose incroyable”. Quella forzatura aprì la strada all’Atto unico del dicembre 1985, che a sua volta spianò la strada verso il Trattato di Maastricht. Paradossalmente proprio i vincoli di quel Trattato gettarono alcune delle premesse della stagione di Mani pulite nel senso che gli imprenditori più importanti, davanti ad una spesa pubblica diventata più selettiva e davanti a regole europee più stringenti, furono costretti a “rifare i conti” aziendali, ridimensionando il costo delle tangenti, dal quale erano rientrati sino ad allora grazie al progressivo lievito dei costi delle opere, di fatto concordati con le Pubbliche amministrazioni. Col risultato che l’opera costava di più, consentendo a tutti di “rientrarci”. Tutto il sistema politico, non soltanto i socialisti, risentirono del “pentimento” degli imprenditori e quanto a Craxi si rese conto di quel che stava accadendo e subito dopo le elezioni del 1992, quando un incarico da presidente del Consiglio era per lui ancora possibile, si disse pronto ai necessari sacrifici sul piano della spesa pubblica. L’incarico andò a Giuliano Amato, nel dibattito sulla fiducia, Craxi intervenne e pronunciò un discorso, destinato a diventare proverbiale, nel corso del quale “chiamò” l’intero sistema politico a rispondere dei finanziamenti illegali che, tutti, avevano ricevuto. Ma in quel discorso parlò anche di Europa e lo fece con spunti interessanti, oscurati dai passaggi sui costi della politica. Certo, Craxi si muove sul terreno dei principii generali e dunque auspica “un’Europa il cui sviluppo non contraddica il principio che gli anglosassoni definiscono come ‘il mercato più la democrazia’”, ma i passaggi più interessanti riguardano in senso lato un tema, la libertà dei popoli, che lo aveva portato a sostenere (con i proventi delle tangenti) tanti movimenti di liberazione dal fascismo e dal comunismo, una passione libertaria che, a ben vedere, rappresenta il più originale filo rosso che congiunge tutta la sua azione politica. Vede in anticipo i pericoli dei popoli a lungo oppressi di quella parte dell’“Europa che si è liberata dal comunismo e che rischia di restare ancora separata e divisa non più dalla cortina di ferro ma dal muro del danaro”. E al tempo stesso indica con una trentina d’anni di anticipo i rischi non solo di un’Europa senza politica (l’Unione deve essere “capace di una politica estera”) ma incapace di offrire una sponda di libertà al “mondo più povero che preme alle porte dell’Europa e che ha assolutamente bisogno di un acceleratore che gli consenta di uscire dalla depressione, dalla stagnazione e dal sottosviluppo, senza di che le ondate migratorie diventeranno sempre più incontrollabili”.

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