Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Blog

Il miracolo di Nolan. Oppenheimer è un discorso sconvolgente sulla natura umana

Dovete andare a vedere Barbie, se non l’avete già fatto, anche solo per capire come marketing, colori sgargianti e femminismo in pillole possano trascinare al cinema masse di teenager – talvolta, nella penombra della sala, è più interessante guardarsi intorno che guardare lo schermo. Ma dovete andare a vedere Oppenheimer per godere di un’esperienza audiovisiva grandiosa e immergervi nelle più esaltanti e dolorose contraddizioni che la scienza, la politica e in definitiva la natura umana possano offrire.

L’ambizioso anglo-americano Christopher Nolan, da Memento a Tenet sempre in bilico tra grande spettacolo e storie rompicapo, stavolta ha realizzato il suo film più importante, apparentemente meno intricato e meno seducente, ma in verità più profondo e più emozionante delle vette di Inception, Dunkirk e Interstellar.

Un film che ci dice cos’è stato il Novecento e perché forse andrebbe ribattezzato “il secolo lungo”, per quanto è ancora presente nelle nostre vite. Ma anche un film senza tempo sulla coscienza umana, per come indaga le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni: e quale miglior prospettiva di quella del padre della bomba atomica?

La parabola, che guarda ai miti greci e a Frankenstein, è quella di un Prometeo americano (come il fisico Oppenheimer è definito nel libro Premio Pulitzer che ha ispirato il film), capace di pensieri e azioni mai osati prima, ma dilaniato dall’esito delle sue scoperte. Da un lato la necessità bellica e l’agonismo di uno scienziato visionario in corsa contro i nazisti, dall’altro un fardello dello spirito che ha il peso degli oltre 200.000 morti di Hiroshima e Nagasaki, più lo spauracchio di un’apocalisse nucleare su scala globale.

Come si realizza un racconto così bipolare, come si fa a tenere insieme fatti storici sconvolgenti e la coscienza di un uomo? Il regista-scienziato-filosofo Nolan sceglie la strada più impervia ma forse l’unica possibile per andare al nocciolo della questione: applicare alla narrazione proprio i principi della fisica quantistica, quelli che dicono (brutalizzo da ignorante) che una particella può essere qualcosa ma anche qualcos’altro. Salutiamo il principio di non contraddizione e abbracciamo una verità basata proprio sul suo essere discordante.

Solo così l’Oppenheimer magnificamente incarnato da Cillian Murphy potrà risultare al contempo genio e ingenuo, carnefice e innocente. Solo così le immagini girate nello splendore del formato IMAX, con cineprese e pellicole fabbricate per l’occasione, potranno oscillare tra colori vividi e bianco e nero (mix già usato da Nolan in Memento, che qui spiega così la doppia scelta: “Le scene a colori sono soggettive del personaggio, quelle in bianco e nero oggettive”). Solo così la narrazione potrà viaggiare continuamente avanti e indietro nel tempo, mostrandoci ogni volta nuove pieghe di aspetti che credevamo risolti, fino a collassare al centro del film nell’incredibile sequenza del primo test nucleare.

Già perché, come nei film sulla Shoah, il problema è anche e soprattutto come mostrare il terribile: la magnificenza sublime del fungo atomico e insieme il suo sconvolgente esito di morte e distruzione. L’opzione di Nolan è radicale, spettacolare e – di nuovo – ambivalente: mostrare il test Trinity come un’impresa titanica, allestita in fretta e furia nel deserto del New Mexico per poi, arrivati alla fatidica notte della prima esplosione nucleare, giocare mirabilmente con l’attesa di scienziati e militari, congelando il tempo, la luce e per lunghi secondi anche il suono… Prima di stordirci con l’onda d’urto di flash abbacinanti e scrosci sonori ripetuti. E ovviamente la terribile fascinazione di quelle volute rossastre. Nelle parole del regista: “È stato molto scoraggiante ritrarre la prima esplosione nucleare al mondo senza audio. Ma mi sono reso conto che ci dava l'opportunità di mostrare un momento davvero unico nella vita di queste persone, in cui vedono cosa sta succedendo, ma in un certo senso non ne avvertono ancora le conseguenze. Sembrava una sorta di metafora perfetta per l’intero film”. Applausi degli increduli presenti nella spianata di Los Alamos, primi uomini ad aver acceso il fuoco nucleare, e applausi degli spettatori in sala per gli artisti (fotografia, suono, montaggio) che hanno concepito questo film nel film.

Ma poi più nulla: le due bombe sganciate tre settimane dopo sul Giappone non le vediamo. Auto-censura? Timore di fare i conti con le immagini storiche? Paura di una pornografia della morte? No, sacrosanta adesione al punto di vista del nostro Prometeo: le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki le apprendiamo dalla radio e dai giornali, come dovettero venirlo a sapere Oppenheimer e colleghi, senza poter, nell’immediato, conoscere l’entità e i postumi di quegli impatti devastanti. Ci sarà tempo, nelle successive scene di giubilo collettivo e di straniamento del protagonista, per alludere a una terribile presa di coscienza.

L’altra scelta radicale del film, classicissima ma sorprendente per un’enigmista come Nolan, è quella di impiantare l’intera struttura su un doppio procedimento giudiziario: l’audizione a porte chiuse del 1954, in piena caccia anti-comunista, quando il fisico venne accusato di attività anti-americane, e le udienze parlamentari che negli stessi anni videro imputato Lewis Strauss, uno strepitoso Robert Downey Jr calvo e occhialuto, politico navigato che assunse Oppenheimer dopo la guerra, quando già era un sostenitore del disarmo nucleare. 

Ma anche qui, il risultato è di rara efficacia e profondità, perché il dibattimento giudiziario diventa il filo conduttore tra gli andirivieni temporali della storia: ce la chiarisce e ce la complica, scomponendola in un prisma di testimonianze e ricostruzioni in cui scopriamo che alcuni colleghi non gli hanno perdonato certe scelte, che lui stesso ha agito in maniera contraddittoria, e che un mentore non era tale. Il meccanismo processuale si rivela ancora una volta, come ne La parola ai giurati di Lumet, un dispositivo perfetto per esplorare le ragioni della politica, della scienza e della coscienza.

È raro vedere un blockbuster altamente spettacolare che è anche un film d’autore densamente parlato, ma questo è un altro dei miracoli di Nolan e della sua squadra in stato di grazia.

Potrei proseguire per ore a parlarvi dei primi piani del protagonista, che in definitiva dicono più di quei mille dialoghi; della capacità sempre più rara di raccontare per ellissi, per domande aperte a inizio film e riprese solo due ore dopo, quando davvero possiamo capire la portata di quelle risposte; di una rappresentazione della scienza come appassionato dibattere in squadra, procedendo per ipotesi ed esclusioni, ma anche come (in)consapevole ignoranza delle applicazioni che quelle scoperte avranno… Potrei, ma per vostra fortuna non lo farò, anche perché questo è un film che richiama alla visione condivisa e restituisce tutto il gusto delle discussioni da uscita sala.

È questo forse l’unico vero punto di contatto del fenomeno/meme Barbenheimer. Eravamo in parecchi, ancora storditi dalla visione, a confrontarci animatamente fuori dalla prima proiezione pomeridiana, nonostante la canicola e la riservatezza torinese.

Io non so più come dirvelo: dovete andare a vedere Oppenheimer perché è il film più attuale e potente in circolazione (da mesi? Anni?) e perché, come tutte le grandi opere, è un discorso sconvolgente sulla natura umana. Io di certo andrò a rivederlo. Per parlarne insieme, sapete dove trovarmi.

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione