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Ieri, l’ultimo saluto aGianni Cavina nella Chiesa del Sacro Cuore, nella sua Bolognina, vicino a casa. Una messa intima officiata da Don Massimo, alla presenza della moglie Giovanna e del figlio Fabrizio, avuto dalla prima consorte Mary France, e di pochi, pochissimi amici e conoscenti. Sono seguite le parole di Pupi e Antonio Avati, suoi grandi amici da sempre e compagni di cinematografiche avventure: il vero, affettuoso e sentito ultimo ciak. Loro due, in prima fila in questi giorni successivi alla scomparsa dell’attore bolognese, prima felicemente colpiti per la grande «e meritata» copertura mediatica da parte dei giornali, delle tv e dei social, ma ieri affranti e delusi dalla scarsa partecipazione dei bolognesi. «Siamo rimasti sorpresi di questo vuoto, reso ancora più evidente dalla grandezza della chiesa», dice Antonio. Ugualmente esplicito il fratello, Pupi, che non trattiene la sua amarezza. «Pensa, siamo arrivati un’ora prima pensando di trovare la folla e quindi per assicurarci un posto vicino al suo bianco feretro, e invece non c’era nessuno», racconta mentre torna a Roma in treno. «Non riesco a fare finta di niente, a stare zitto, anche perché ho rivissuto il funerale di Carlo Dalle Piane a Roma: poca gente anche lì, cui seguirono le mie rimostranze. Oggi devo farlo purtroppo con la mia città, i miei concittadini e le istituzioni incredibilmente assenti: il nulla».
Così è andata, proprio mentre negli stessi minuti in consiglio comunale il consigliere Maurizio Gaigher ricordava la brillante carriera di Cavina, «dai suoi esordi come attore teatrale e cabarettista, insieme a Lucio Dalla e Nino Mangano», e poi la serie dell’ispettore Sarti di Macchiavelli girata a Bologna, i tanti film, ben venti con Avati, fino all’ultima partecipazione in Dante, nonostante le precarie condizioni fisiche, dove potremo rivederlo appena la pellicola arriverà in sala, e a seguire il minuto di silenzio in aula. Più fragoroso il silenzio ai Salesiani. Con dolorosa sincerità Pupi racconta come ieri non abbia fatto la comunione. «L’ho detto a Don Massimo, “non posso perché sono in peccato, perché in questo momento sto odiando la mia città che ha dimostrato disamore”».«Ammetto di aver sofferto perché dopo tutti quei riconoscimenti letti sui giornali e visti in tv, mi aspettavo altrettanto per questo ultimo saluto. Gianni lo meritava, per quello che ha fatto sempre pensando alla nostra città, lui che la bolognesità l’ha portata ovunque. Le autorità, le istituzioni avrebbero dovuto tenerne conto, coglierne l’importanza e quindi esserci. Purtroppo così non è stato». Un ritorno a Roma amaro, con un finale però senza maschere né infingimenti, quindi vero e di carne, e col pensiero, magari, che Gianni Cavina ci sarà comunque coi suoi mille volti, ora drammatici ora comici, nelle tante pellicole a cui ha lavorato, fino alla fine.
«Ho sentito Pupi Avati. Ci siamo scusati con lui». Così il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, dopo lo sfogo del regista ai funerali dell’attore Gianni Cavina. «Chiamerò in queste ore anche la famiglia- informa oggi Lepore a margine di una conferenza stampa- Abbiamo onorato Cavina in Consiglio comunale, portando il cordoglio della città. Ci dispiace che per un disguido organizzativo nessun consigliere comunale o assessore sia stato presente alle esequie». «Sicuramente per noi Cavina- aggiunge il sindaco- rappresenta una delle personalità del mondo della cultura più importanti degli ultimi decenni. Lo omaggeremo come merita».
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