Felipe Quispe Huanca, “presidente degli indios”

di Pablo Stefanoni da Jacobin América Latina

Traduzione di Alessandro Peregalli e Manuela Loi

Commento di Alessandro Peregalli

Il sociologo René Zavaleta Mercado ha descritto la società boliviana come una società abigarrada, costituita cioè da una profonda diversità economico-sociale, vere e proprie temporalità storiche che si relazionano tra loro e tendono a riprodurre la loro eterogeneità. Leggere la storia di Felipe Quispe, scomparso per un infarto lo scorso 19 gennaio, in controluce rispetto all’ “epopea” del Movimiento Al Socialismo (MAS) significa in qualche modo mettere in risalto quest’eterogeneità, queste altre linee di rottura e di liberazione che negli ultimi tre lustri hanno continuato a pulsare nelle molteplici Bolivie de abajo.

Nel periodo compreso tra la cosiddetta Guerra dell’Acqua di Cochabamba, nel 2000, e il trionfo elettorale di Morales, nel 2005, la Bolivia fu attraversata da un’ondata di mobilitazioni di carattere insurrezionale straordinariamente dure, ricche ed eterogenee. In questo contesto, nelle comunità aymara dell’Altiplano a nord di La Paz e a sud del lago Titicaca, si sviluppò un formidabile processo di crescita politica di un movimento, l’indianismo, nato nei decenni precedenti e ancorato in una struttura politico-sindacale-comunitaria inedita, la CSUTCB (Centrale Unica del Lavoratori Contadini della Bolivia, dalla sua sigla in spagnolo), e guidato da un leader dalla grande integrità etica e politica: il Mallku Felipe Quispe Huanca.

Non privo di aspetti problematici, tra cui un certo separatismo aymara che rendeva difficile la convivenza sia con una società in buona parte meticcia e urbana, sia con i sempre minoritari e invisibilizzati popoli indigeni delle Tierras Bajas e dell’Amazzonia (altri elementi costitutivi di quella società “abigarrada” che è la Bolivia), oltre che un machismo ampiamente presente anche nelle strutture comunitarie indigene (come ricorda nel suo bell’omaggio la sociologa argentina Maristella Svampa), Quispe ha saputo incarnare, nella sua vita, nei suoi scritti di storia e nella sua militanza politica, quello spirito ribelle aymara di Tupak Katari che a fine ‘700 fece tremare di terrore il dominio imperiale spagnolo.

È forse questo terrore, percepito all’inizio del secolo dalle élite bianche e meticce boliviane, che ha spinto queste ultime a venire a patti con Evo Morales, un caudillo molto più addomesticabile da parte degli appetiti, le logiche e gli interessi del grande capitale. Almeno per il tempo sufficiente -credevano loro- a spegnere la fiamma che in quei primi anni ‘00 aveva fatto cadere due governi e scosso alle fondamenta il regime neocoloniale boliviano. A fine 2019, dopo 14 anni di inclusione popolare al consumo ed estrattivismo sfrenato ma compensato da politiche sociali, queste élite devono aver pensato che era ormai scampato il pericolo, e che potevano riprendersi in mano le leve dello Stato, senza intermediari. Non avevano fatto i conti con il Mallku e le combattive comuntà aymara (e non) della Bolivia de abajo, che portando avanti ancora una volta, come con Tupak Katari, come nella Guerra del Gas del 2002, settimane di blocchi, accerchiamenti e assedi a La Paz, imposero nuove elezioni e misero fine alla dittatura con la vittoria di Lucho Arce e David Choquehuanca.

In questo testo, il giornalista Pablo Stefanoni ripercorre magistralmente la traiettoria di Felipe Quispe, uno degli ultimi grandi uomini del nostro tempo che ha saputo pensare, all’alba del 2000, la “rottura rivoluzionaria”, sebbene non necessariamente a partire dal marxismo dogmatico, ma dalla memoria e cosmovisione indigena e dal progetto, che due secoli e mezzo prima era stato di Tupak Katari, di “ricostruzione del Quyasuyo”, il territorio ancestrale aymara usurpato dalla conquista coloniale e dalla fondazione dello stato post-coloniale boliviano. Un uomo che di se stesso, solo sei giorni prima di morire, disse: “per principio lotto sempre, e continuerò a lottare fino alla mia morte, e continuerò a lottare anche sotto terra, se possibile”. [Alessandro Peregalli]

Felipe Quispe Huanca, figura fondamentale nella costruzione politica dell’identità aymara in Bolivia, è scomparso nella città di El Alto il pomeriggio del 19 gennaio.

“Dovremmo tornare indietro nel tempo, a quando Tupaj Katari si ribellò e gli indios circondarono La Paz e uccisero gli spagnoli. Fu l’unico uomo a fare tremare la corona spagnola in quel momento. E morì smembrato da quattro cavalli. Ma lasciò un’eredità, un’eredità immortale. Ci consideriamo seguaci e eredi di Tupaj Katari, ed è per questo che portiamo la sua bandiera, così come il suo principale pensiero, l’indianismo, che i nostri anziani, i nostri nonni ci hanno trasmesso”.


A parlare è Felipe Quispe Huanca (1942-2021). Nato ad Achacachi, capitale della regione Omasuyos, Quispe è una figura fondamentale nella costruzione politica dell’identità aymara. La sua attività politica è stata segnata da questa immagine dell’accerchiamento: degli indiani che bloccano i bianchi. Facendogli sentire il loro respiro e i suoni dei loro pututus (strumenti musicali tipo corni di origine andina, NdR). La geografia di La Paz è molto funzionale a questa pratica di lotta, e le stesse élite di La Hoyada hanno sentito più volte la minaccia dell’assedio.

Le frasi memorabili di Mallku (condor in aymara) sono intimamente legate alle sue opinioni sulla politica. “Perché la lotta armata?”, gli chiese la giornalista Amalia Pando al momento del suo rilascio dalla prigione nel 1997. “Perché mia figlia non sia una tua domestica”, rispose, vestito con un ch’ullu (tradizionale cappello di alpaca tipico della regione andina, NdR). “Le parlo da presidente a presidente”, disse faccia a faccia con Hugo Banzer, diventato presidente democratico tra il 1997 e il 2001. Lui, “presidente degli indios”; l’ex dittatore, “presidente dei Q’aras” (bianchi).

Affermò di avere “l’odore delle pecore” come il resto dei suoi “fratelli” e chiese ironicamente la creazione di un Ministero degli Affari Bianchi invece di un Ministero degli Affari Indigeni. Quispe intervenne nel dibattito sulla nazione boliviana dal punto di vista del nazionalismo aymara, a volte con sfumature separatiste, ed ebbe un notevole impatto sull’emergere di un nuovo tipo di “orgoglio etnico”.

Quispe si formò originariamente nella sinistra -dice di aver comprato una volta il Manifesto comunista uscendo dalla caserma durante il servizio militare per contrastare il discorso anticomunista dell’esercito – e poi nell’indianismo/katarismo, un movimento che negli anni Settanta combinava, in modo un po’ variegato, la sinistra classica e nuove prospettive fondate su una “coscienza etnica”.

“Noi veniamo dalla scuola marxista. Parlavano di Marx, di Lenin, della lotta armata, della lotta di classe, e la nostra gente non capiva niente, non capiva niente, non una sola parola, avevano le orecchie completamente tappate. Ma a un certo punto abbiamo cambiato discorso, abbiamo cominciato a parlare dei nostri inca, dei nostri antenati, di Tupak Amaru, di Tupak Katari, dell’ayllu comunitario (nucleo dell’organizzazione sociale comunitaria della popolazione quechua e aymara, NdR), e la gente cominciava ad alzare la testa e faceva come i lama, con le orecchie tese”, ricordò in un’occasione. In quel periodo, Fausto Reinaga e Genaro Flores espressero posizioni diverse riguardo ai legami con la sinistra, alleanze, strategia politica, ecc. e si formarono vari partiti kataristi con scarsi risultati alle urne. Tuttavia, la loro influenza era maggiore nel sindacalismo contadino. Dopo il 1985, con la crisi mineraria, i contadini sostituirono i minatori come “avanguardia” del movimento sociale, in un processo di ruralizzazione della politica che sarebbe durato fino al trionfo del Movimiento al Socialismo (MAS) nel 2005.

Quispe era uno dei leader dell’Ejército Guerrillero Túpac Katari, creato nel 1990, un momento “strano” per iniziare un movimento di guerriglia. Tuttavia, l’EGTK non si basava sul foquismo (strategia guerrigliera avanguardista tipica degli anni ‘60-’70 in America Latina, NdR) ma sull’armamento degli indigeni e sull’insurrezione comunitaria. Anche il giovane Álvaro García Linera, futuro vicepresidente di Evo Morales, vi prese parte. Dopo la rottura, il Mallku farà i conti con i “sinistrorsi” dell’EGTK. “Avevano letto i 70 volumi di Lenin, le opere scelte di Mao, i tre volumi del Capitale, ma non sapevano come organizzare un’imboscata, non sapevano come entrare in una banca. Ma noi eravamo già tornati, perché eravamo andati in America Centrale, eravamo stati nel Fronte Farabundo Martí e nel PEG in Guatemala… Tutto questo ci ha aiutato a formare la gente qui nella Cordigliera delle Ande”.

Dopo cinque anni di prigione, Quispe è diventato, nel 1998, segretario esecutivo della Central Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia (CSUTCB), il sindacato principale dei contadini. Erano anni di profonde divisioni all’interno del movimento sindacale e dei primi tentativi di formare “strumenti politici” dei sindacati agrari. A partire da quel momento, inizierà diverse battaglie contro i governi al potere e costringerà i ministri a recarsi nelle loro sedi per negoziare.

Il Mallku non si è avvalso del discorso “pachamamista” di tipo culturalista, ma ha sempre esercitato un indianismo di combattimento, di potere indio, a volte con toni da guerra civile, come accadde nella Guerra del Gas del 2003, che provocò la caduta e la fuga dal paese del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada. “Abbiamo iniziato con lo sciopero della fame, poi abbiamo rapito alcuni ministri di Stato. Si sono impegnati a garantire la liberazione del compagno Edwin Huampo, imprigionato per aver giustiziato due ladri di animali nelle campagne; inoltre, c’erano 72 punti… Fin dall’inizio abbiamo deciso di passare alla lotta armata per prendere il potere; se non fossimo stati in sciopero della fame, avremmo preso il governo. Sono responsabile di quel movimento perché ero il leader del CSUTCB”, ha dichiarato al momento di pubblicare La Caída de Goni, uno dei suoi libri.

Felipe Quispe ha studiato la storia come se fosse un’arma; ha iniziato i suoi studi in prigione e li ha finiti in libertà. Ha fatto la sua tesi di laurea su Tupak Katari. E ha scritto diversi libri: Túpac Katari vuelve y vive carajo, El indio en escena e Mi captura, oltre a quello sulla caduta di Sánchez de Lozada. Nel 2002 ha fondato il Movimiento Indígena Pachakuti (MIP). Il MAS, con sede a Cochabamba, soprattutto tra i coltivatori di coca, e il MIP, con il suo epicentro nell’Altiplano, si sono contesi il voto indigeno. Nel 2002, ha ottenuto il 6% dei voti e ha eletto sei deputati in parlamento. Tra i quali vi era lo stesso Mallku. Si è dimesso prima di portare a termine il suo mandato. In una conferenza stampa ha spiegato che le sue dimissioni volevano essere una protesta contro un Congresso che “agisce arbitrariamente e alle spalle del popolo oppresso” e che ora, senza più immunità e con diversi processi, sperava di finire in prigione, dove si trovano “i veri rivoluzionari”.

Con un discorso incentrato sulla nazione aymara, il MIP non è riuscito a trascendere i confini dell’Altiplano. D’altra parte, la crescita elettorale del MAS ha portato Evo Morales alla ribalta della politica boliviana, e non c’era spazio per due caudillos indigeni. Nelle elezioni presidenziali del 2005, El Mallku ha ottenuto solo il 2,15% dei voti. In quei giorni, molto critico nei confronti di Morales, si ritirò per “formare quadri” e fondò e diresse un club, il Deportivo Pachakuti, che giocava in serie B, che finì per vendere per mancanza di risorse. Sebbene il suo discorso fosse sempre radicale, è stato anche un sindacalista contadino, capace di combinare durezza e negoziazione.

Quispe è stato molto critico nei confronti del governo di Jeanine Áñez. “Faremo blocchi per mesi, anni se possibile, fino a quando questo governo di transizione non se ne sarà andato”, ha dichiarato nell’agosto 2020 nel mezzo delle proteste sulla data delle elezioni. La sua morte è arrivata all’improvviso, proprio quando aveva presentato la sua candidatura al governo del dipartimento di La Paz per le elezioni del prossimo marzo per il gruppo politico Jallalla La Paz. La stessa lista per cui correrà come candidata sindaca di El Alto l’ex presidentessa del Senato Eva Copa, che ha recentemente rotto con il MAS.

Felipe Quispe sarà ricordato per le sue idee, per le sue frasi celebri ma, soprattutto, per averci messo anima e corpo. Nonostante tutte le sue sfaccettature, i racconti che trasmetteva con più entusiasmo erano le sue storie sui piani “formica” ,“pulce” e altre strategie per combattere le forze statali. Il “mito” dell’accerchiamento, dell’assedio, percorrerà tutta la sua vita e la sua azione politica.

Lascia un commento