Il politologo

Addio a Giorgio Galli, teorico del «bipartitismo imperfetto»

Laureato in Giurisprudenza all'università Statale di Milano, vi è stato per decenni docente di Scienza delle dottrine politiche

di Andrea Marini

2' di lettura

È morto oggi 27 dicembre il politologo Giorgio Galli, esperto di partiti e teorico del “bipartitismo imperfetto”, definizione che aveva dato il titolo ad uno dei suoi testi cult pubblicato nel 1966 da Il Mulino e in seguito da Mondadori. Nato a Milano il 10 febbraio 1928, Galli si trovava a Camogli, in provincia di Genova, dove aveva una casa. Laureato in Giurisprudenza all'università Statale di Milano, vi è stato per decenni docente di Scienza delle dottrine politiche, ma ha anche diretto la casa editrice Il Mulino, è stato presidente dell'Umanitaria.

Le collaborazioni

Ha collaborato con riviste come Panorama e Linus e ha firmato moltissime pubblicazioni spaziando da Adolf Hiltler a Giulio Andreotti, a temi legati all'attualità. Fra i titoli dei suoi lavori “Storia dei partiti politici europei, Partiti politici italiani” (1943-2004), “Mezzo secolo di Dc” (Baldini Castoldi Dalai 2004), “Esoterismo e politica” (Rubbettino 2010). Era da poco uscito per Kaos il suo ultimo lavoro “Hitler e l'esoterismo”. Per continuare i suoi studi aveva fondato nel 2017 l'Istituto di studi politici. Suo un intervento nel primo numero del 2021 della rivista legata all'istituto Civica, sui possibili sviluppi contro la deriva della democrazia rappresentativa.

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Il “bipartitismo imperfetto”

Il nome di Galli è legato soprattutto alla definizione di “bipartitismo imperfetto” in riferimento al sistema politico italiano della prima Repubblica. L’Italia, come molti altri paesi, aveva sì due grandi partiti contrapposti, la Dc e il Pci. Ma a seguito della collocazione italiana nella sfera di influenza americana e della contrapposta fedeltà del Pci all’Urss, per i comunisti italiani era impossibile andare al governo. E questo provocava due ordini di problemi: da una parte la Democrazia cristiana rimaneva sempre alla guida del paese, ma l’assenza di un’opposizione in grado di scalzarla ne limitava la spinta riformista in grado di stare al passo con i cambiamenti della società. Dall’altro il Partito comunista, essendo escluso dal governo, non era in grado di elaborare proposte che andassero oltre una retorica antisistema.

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