«Se è davvero così, quando uno comincia a dire: «Ho deciso: sto invecchiando», o non è vecchio o dice una bugia; più probabilmente, l'una e l'altra cosa insieme. Il libro di Arrigo Levi sulla vecchiaia comincia con questa bugia. E, continuando a mentire, prosegue: «Ci penso seriamente da qualche tempo. Ho anche pensato di scrivere un libro, che volevo intitolare L'arte d'invecchiare. Ma non sono affatto sicuro di conoscere quest'arte, ed anzi, scrivere questo libro dovrebbe aiutarmi a scoprirla».

Arrigo Levi sapeva benissimo come noi avremmo letto quella bugia. E' troppo sottile scrittore per non avere calcolato l'effetto dell'artificio retorico sotteso al suo «ho deciso». Tanto è vero che il titolo gli si è cambiato più volte in mano, diventando Oltre i sessanta e poi - gli anni passano -, Oltre i settanta. Finché il titolo giusto glielo ha trovato l'editore, un uomo sulla quarantina, La vecchiaia può attendere. Titolo un po' ottimistico, riconosce Levi. «Ma condivido l'idea che si possa invecchiare facendo aspettare, il più possibile, la vecchiaia». Non rinviandola all'infinito. Non fingendo che sia diversa da quello che è. Semplicemente cercando di capire quanto si sia trasformato il senso della vecchiaia nel corso delle ultime generazioni, anzi di pochi anni; fino a stravolgere la stessa parola, oggi sostituita, negli ambienti perbene, con la «terza età».

Ottima, questa «terza età», se identifica una stagione della vita in cui non siamo più legati alla catena del lavoro e non siamo ancora vecchi. Ma la parola nasconde qualche ombra. Non esiste, per esempio, il «terzetario», avverte Levi. Esiste il vecchio, anzi il vegliardo, la figura che a lui piace di più e nella quale vorrebbe un giorno incarnarsi. Gli ricorda il grido di Mario Soldati, quando compì i 90 anni: «Io vecchio? No, vegliardo!». Traguardo lontano di vent'anni, per Levi. Nel frattempo, anche se non gli piace sentirsi dare del terzetario, l'autore cerca di spiegarci, con un po' di ironia, come si vive da quando la vecchiaia si è girata in terza età. E la antica «horrenda senectus» può diventare, con i dovuti accorgimenti, soprattutto con buona consapevolezza, «iucunda». E' un aggettivo che usava già Cicerone, al quale la felicità di scrivere il De senectute aveva reso la vecchiaia «piacevole». E Levi non si lascia sfuggire la citazione, che mette in testa al libro.

Cicerone aveva 62 anni quando scrisse il De senectute, Levi ha superato da poco i 70. Ma le due età non sono comparabili, come egli stesso rileva. A 62 anni, nella società romana, un uomo era davvero vecchio. A 70, nel nostro mondo, si è nel pieno delle forze. Per scrivere il suo De senectute un filosofo della lucidità di Norberto Bobbio ha atteso di avvicinarsi ai 90. Perché Arrigo Levi lo ha anticipato di tanto? «Perché fino a un certo punto si ragiona come se il tempo fosse illimitato, tutto a nostra disposizione. Poi viene il giorno in cui ci si accorge che bisogna compiere delle scelte, ue si vuol fare una cosa, è meglio decidersi subito». Levi confessa che, da quando era ragazzo, ha sempre scritto programmi precisi per la propria vita, di anno in anno, anche di sei in sei mesi. Li conserva tutti. «Ma c'è stato un momento in cui ho voluto scegliere un programma che guardasse avanti, per un periodo più lungo, partendo dalla riflessione su me stesso». Ha scelto il periodo più lungo di tutti, non esauribile in semestri né in anni.

Un libro sulla vecchiaia o un Qui a fianco Arrigo Levi, che pubblica da Mondadori «La vecchiaia può attendere» Nelle foto piccole, da sinistra, Mario Soldati e Dario Fo. In basso Marco Tullio Cicerone libro su Arrigo Levi? I richiami personali, familiari, sono tanti; è un libro che non si sarebbe potuto scrivere senza l'esperienza del suo autore. «Sì, prima di tutto è un libro su Levi, perché parte da un mio programma. Per i primi mesi di lavoro mi sono perfino rifiutato di leggere qualsiasi saggio sulla terza età. Ma, via via che procedevo, mi sono accorto che il libro rifletteva le esigenze della mia generazione. E diventava un libro sulla vecchiaia. Ogni scrittore sa che proprio le cose personali sono quelle che hanno un valore universale più grande». Insiste molto, Levi, sulla situazione, da lui condivisa, dell'uomo che esce dal lavoro senza uscirne e continua, più libero, la propria attività. Purtroppo, non è la situazione di tutti. «E' vero. Chi ha in mano un'arte, come i contadini, gli avvocati, i falegnami, come molti giornalisti, può continuare un lavoro, ha una vita; anche se in condizioni mutate». Ma poi, come egli stesso scrive, viene il giorno in cui uno si accorge che «i gusti cambiano e la domanda di te va calando». Anche questa è una riflessione personale? «O no! - risponde l'editorialista del Corriere, commentatore in tanti programmi televisivi -. E' una cosa drammatica. Sto scrivendo contemporaneamente due libri, la televisione mi cerca di continuo, e ci sono gli articoli da scrivere. E' il momento in cui la vecchiaia non può proprio attendere, bisogna dare subito. Sono arrabbiatissimo, perché vorrei vivere la mia età e non ci riesco. Nell'ultimo programma semestrale ho fatto i conti dei miei impegni di lavoro, ho riempito tutti i giorni di tutti i sei mesi. Vorrei liberarmi, ma ancora faccio fatica».

 E chi glielo impedisce? «Oggi mi è più difficile dire di no che andare a cercare impegni. Io dico già di no a molti, ma non me la sento di dare un taglio. Continuare a scrivere per un quotidiano significa dedicare ogni giorno due ore di lettura ai giornali». E rinunciare al quotidiano? «Non ne ho il coraggio. Ho paura che venga meno una certa routine, una certa presenza. Vorrebbe dire avere meno relazioni con gli altri». Ma non è cambiato niente, nella sua vita, con i 70 anni? «Qualcosa sì che è cambiato. Sono diventato più intollerante verso certe cose di bassa qualità, verso la sciatteria della scrittura, verso le reazioni demagogiche delle mode. Tutti devono parlar bene di un film, tutti devono parlar male di un altro. L'entusiasmo universale per il Nobel a Dario Fo, quando quasi nessuno lo aveva letto, mi è parso fastidiosissimo. E la voglia di fare il bastian contrario, per reazione, è più forte». La vecchiaia può attendere, l'indignazione no.

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