Il curatore e critico è morto a Milano a causa del coronavirus. Aveva 80 anni
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Germano Celant è morto oggi all'età di 80 anni, al San Raffaele di Milano, a causa di complicazioni causate dal coronavirus. Era il "padre" dell'Arte Povera. Di quel movimento costruito nella seconda metà degli anni Sessanta attorno ad artisti come Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali e Luciano Fabro. Ovvero una delle ultime neoavanguardie italiane in grado di superare i confini nazionali e di finire al Guggenheim o al MoMA di New York.
Critico è una definizione che sta stretta a Celant. È stato un teorico, un talent scout, un curatore tra i pochi in grado di diffondere il Made in Italy nel mondo. Fondamentale in questo senso è stata la mostra Italian Metamorphosis al Guggenheim, nel 1994. Ma l'elenco delle esposizioni firmate è lunghissimo e tocca gli spazi museali più importanti del pianeta, dallo stesso Guggenheim ovviamente, di cui è stato senior curator, al Centre Pompidou di Parigi.
Direttore della Biennale d'Arte di Venezia nel 1997, negli ultimi anni aveva curato i progetti della Fondazione Prada a Milano e a Venezia. Nel 2013 si era concesso il lusso di un remake spregiudicato: a Ca' Corner della Regina, sul Canal Grande, aveva riallestito When Attitudes Become Form, una mostra di Harald Szeemann del 1969, che aveva segnato un prima e un dopo nel panorama del secondo Novecento.
Vestito sempre di nero, appassionato di biliardo, rifiutava di essere considerato l'inventore dell'Arte Povera. Ed era un paradosso: "Non ho inventato niente", diceva.
Dello scorso anno, sempre a Venezia, è l'omaggio all'amico e compagno di viaggio Jannis Kounellis, scomparso nel 2017. Con quei materiali di scarto e gli oggetti della vita quotidiana che, grazie all'Arte Povera, hanno acquistato nuovi significati e un'insospettabile poesia.