Si temono tempi duri per le minoranze religiose cristiane e musulmane in India, dopo la vittoria del primo ministro Narendra Modi, riconfermato alla guida del paese, data la schiacciante vittoria della sua coalizione alle elezioni generali. Ne è convinto Michael Gonsalves, giornalista cattolico indiano, direttore del quotidiano nazionale Financial Chronicle, visiting professor in diverse scuole di giornalismo in India. Le proiezioni hanno rivelato una netta maggioranza per il partito nazionalista indù del Baratiya Janata Party (Bjp, Partito del Popolo indiano), cui gli elettori indiani hanno dato massima fiducia, e che ha conquistato oltre 300 seggi in Parlamento su 543. «In tale cornice sociale e politica, se il nazionalismo religioso cresce, i cittadini cristiani e i musulmani potrebbero soffrire ulteriori prove, violenze e discriminazioni nel prossimo quinquennio», osserva in un colloquio con Vatican Insider

 

Secondo l'analista, ex presidente della’Associazione della Stampa cattolica indiana «bisognerà vedere se intimidazioni o aggressioni contro cristiani e musulmani aumenteranno: è un rischio che esiste. In tali episodi, andrà monitorato l'atteggiamento della polizia e della stessa compagine governativa, perchè non trionfino illegalità, ingiustizia e impunità», come avvenuto in alcuni casi – come la vicenda dei massacri anticristiani nello stato di Orissa – che in passato hanno riguardato la vita delle minoranze religiose. Uno dei punti che desta preoccupazione negli ambienti delle comunità cristiane, aggiunge Gonsalves, è quello relativo al sostentamento di organizzazioni, associazioni, enti religiosi impegnati nel sociale, che forniscono servizi assistenziali: «Se il governo perseguirà in una politica che si può ben dire “ostile”, saranno vietate le donazioni straniere per enti e organizzazioni sociali che fanno capo alla minoranze religiose. Questo potrebbe penalizzare fortemente soprattutto protestanti e cattolici», rileva, che nel complesso nell’Unione indiana sono il 2,3% della popolazione, di oltre un miliardo di abitanti.

 

Il punto cruciale, in questo scenario, è uno solo: «Dovremo vedere se il Baratiya Janata Party di Modi intenderà portare avanti il disegno, a tratti suggerito o auspicato, di trasformare l'India in un regno indù, modificando la Costituzione e mutandone il carattere laico e pluralista che la contraddistingue. Il primo passo da cui lo si potrà intendere è il possibile sostegno del Bjp alla campagna denominata “Ghar Wapasi” (“ritorno alla fede indù”), in cui masse di persone, specialmente i dalit non indù, sono indotte a riconvertirsi all’induismo. Un secondo segnale verrà da quei provvedimenti, che l’esecutivo potrebbe adottare, che limitano, per i cittadini non induisti, la fondamentale libertà di praticare e predicare la fede, garantita dalla Costituzione indiana». 

 

E se a subire la accuse di «proselitismo ingannevole», condotto con il denaro o con mezzi fraudolenti, sono perlopiù i missionari e pastori cristiani, che a volte finiscono nelle mire dei militanti di gruppi estremisti indù come il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss, Corpo nazionale dei Volontari), i fedeli musulmani in India (una consistente minoranza di circa 150 milioni di persone, il 15% della popolazione), d’altro canto, sono già nell’occhio del ciclone: «Basta considerare – ricorda Gonsalves – la campagna violenta, assecondata anche da leader politici induisti del partito di Modi, sul macello e vendita di carne bovina o sulla fabbricazione di calzature in pelle», che ha generato rappresaglie gratuite, e clamorosi episodi i violenza, in tutto il paese. Secondo l’Ong Human Rights Watch, tra maggio 2015 e dicembre 2018 36 musulmani sono stati uccisi in 12 stati indiani e oltre 100 sono stati gli episodi di violenza su fedeli islamici. È noto che in India la vacca è considerato animale sacro per la religione indù e per questo gruppi di fanatici nazionalisti giustificano le violenze (e a volte i linciaggi) verso quanti osano anche solo trasportarle al mercato. Il tutto sotto gli occhi di una polizia a dir poco compiacente.

 

Ma, dopo una campagna elettorale condotta con toni accesi, schiacciando il tasto del nazionalismo religioso per guadagnare consenso politico, una volta raggiunto l’obiettivo, Narendra Modi, potrebbe tornare a più miti consigli e riabbracciare una agenda moderata e liberale, sull’esempio di leader del suo stesso partito, come l’ex primo ministro Atal Bihari Vajpayee. È la convinzione espressa da A. C. Michael, avvocato e intellettuale cristiano, direttore della Ong Alliance Defending Freedom-India ex membro della Delhi Minority Commission. Secondo l’attivista, «il secondo mandato di Narendra Modi alla guida della nazione lo renderà un primo ministro migliore. È un'opportunità per lui per correggere i precedenti errori. È necessario concentrarsi sulle politiche a favore dei poveri. Anche se in passato è stato considerato un leader che ha diviso il Paese, credo che questa volta possa lavorare per migliorare i rapporti con le comunità delle minoranze religiose, in particolare musulmani e cristiani». 

 

Quello che la Chiesa cattolica indiana chiede al Primo Ministro, senza voler entrare in rotta di collisione con lui, è riconoscere i diritti dei dalit (i fuoricasta) cristiani, a partire dalla libertà di religione. L’auspicio espresso da più voci è quello che il nuovo esecutivo si concentri sullo sviluppo della nazione, sulla sanità, sui servizi sociali, sull’istruzione e lo sviluppo economico dei poveri, adottando un approccio inclusivo, per il bene comune della più grande democrazia del mondo.

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