«Non ci sono parole». È un profondo e doloroso mea culpa quello dei vescovi polacchi per non aver fatto abbastanza per prevenire gli abusi di sacerdoti e religiosi su minori. Riunita a Varsavia ieri per il Consiglio permanente, la Conferenza episcopale ha ribadito tutta la «vergogna» per gli abusi e le violenze di cui sono stati protagonisti ecclesiastici. Parole certamente non di circostanza in un momento in cui la Chiesa in Polonia, seguendo una sorte simile a quella di Cile, Australia e Stati Uniti, viene travolta dagli scandali di pedofilia nel clero. 

“Non dirlo a nessuno”, il docufilm da 21 milioni di visualizzazioni

A riaccendere la miccia, o meglio, a far scoppiare la bomba - considerando l’enorme copertura mediatica di questi giorni nel Paese -, è stato un documentario presentato sabato 12 maggio. “Tylko nie mów nikomu” (in italiano, “Non dirlo a nessuno”) è il titolo del film ribattezzato da alcuni come lo “Spotlight” polacco, in riferimento alla pellicola premio Oscar del 2016 che racconta delle inchieste del Boston Globe sui preti pedofili. In questo caso non si tratta di un lavoro giornalistico, ma di un’opera di indagine e ricerca svolta da due fratelli, Tomasz e Marek Siekielscy, nei ruoli di regista e di produttore, che attraverso testimonianze dirette o riprese con telecamere nascoste hanno voluto accendere i riflettori su vecchi e nuovi casi di abusi.

La produzione è nata “dal basso” visto che il documentario - disponibile dal pomeriggio di sabato su YouTube con sottotitoli inglesi - è stato finanziato con la raccolta di fondi pubblici attraverso il portale Patronite.pl: circa 2500 persone avrebbero pagato un totale di 100mila euro per finanziare il film che dal suo lancio ad oggi ha registrato oltre 21 milioni di visualizzazioni.

La Chiesa polacca divisa in due

Dalla sua uscita l’atmosfera nel Paese è elettrica, per quanto a Roma ne sia giunta solo una flebile eco. La vicenda ha scosso il PiS, il partito nazionalista conservatore che governa da quattro anni la Polonia e che si è sempre presentato come strenuo difensore dei valori cristiani, ma soprattutto ha spaccato in due la Chiesa polacca. 

Tra i vescovi e non solo c’è chi attacca il documentario come iniziativa «violenta» e «anticlericale». Almeno in questi termini l’ha bollato Tadeusz Rydzyk, influente sacerdote redentorista, conduttore e direttore di Radio Maryja (in passato al centro di polemiche per dichiarazioni antisemite e per il sostegno al  “Rosario alle frontiere”). L’arcivescovo di Danzica, Sławoj Leszek Głódź, ha invece spiegato alla stampa di non aver visto il documentario «perché non guardo qualsiasi cosa», mentre l’arcivescovo di Cracovia, Marek Jedraszewski, ha affermato che tutto il film è un modo per «fare politica miserabile, basandosi sulle menzogne».

Mea culpa della Conferenza episcopale: «Chiediamo perdono alle vittime»

Di contro, il film ha ricevuto buona accoglienza da parte dei vertici della Conferenza episcopale, che hanno ringraziato il regista per il suo lavoro di ricerca della verità. Il primate della Polonia, Wojciech Polak, delegato episcopale per la protezione dei minori, si è detto «profondamente commosso da ciò che ho visto»: «L’enorme sofferenza delle persone ferite causa dolore e vergogna», ha affermato, «ringrazio tutti coloro che hanno il coraggio di raccontare il loro dolore. Chiedo perdono per ogni ferita causata dalla gente della Chiesa». «Tutte le questioni devono essere chiarite - ha assicurato Polak -. Nessuno nella Chiesa può sottrarsi alla responsabilità. Dobbiamo proteggere i bambini e i giovani. Non c’è altra via per la Chiesa». 

Parole ribadite dal presidente dei vescovi, Stanisław Gądecki, il quale dopo la sessione di ieri ha assicurato che l’episcopato farà di tutto per «evitare qualsiasi negligenza» con «una sensibilità ancora maggiore per aiutare le vittime». Già all’uscita della pellicola il prelato affermava: «A nome dell’intera Conferenza episcopale polacca, vorrei chiedere perdono a tutte le vittime. Mi rendo conto che nulla può compensare loro le ferite subite. Certamente questo film contribuirà anche a una condanna ancora più severa della pedofilia, per la quale non ci può essere posto nella Chiesa». 

Il 13 giugno la visita di monsignor Scicluna, ex pm vaticano per i casi di abusi

In un clima così fortemente diviso si inserisce la visita del 13 giugno prossimo in Polonia dell’arcivescovo maltese Charles Scicluna, l’ex pm vaticano per i casi di abusi, segretario aggiunto della Congregazione per la Dottrina della Fede, inviato dal Pontefice per due volte nel 2018 in Cile per indagare sui casi di abusi. Qualcuno, tra i media, ha lasciato intendere che Scicluna sia stato inviato dal Papa in Polonia a compiere una simile missione e “commissariare” la Chiesa del Paese est-europeo. Tesi avvalorata dalle recenti dichiarazioni della vicepresidente Joanna Scheurnig-Wielgus che affermava che Scicluna «non verrà qui a trascorrere il fine settimana, ma a sistemare tutti questi vescovi». 

La Conferenza episcopale polacca racconta, invece, un’altra storia, e cioè che Scicluna era stato invitato già nel 2018 per presiedere una giornata di studio sul tema della protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili durante la Plenaria che si terrà a metà giugno a Swidnica. «I vescovi sono grati che l’arcivescovo Scicluna abbia accettato l’invito inviatogli un anno fa», affermano in una nota. «Che la visita avvenga dopo la diffusione del documentario è pura coincidenza», spiegano fonti dell’episcopato a Vatican Insider. 

La Santa Sede, pur non emanato alcun comunicato ufficiale a riguardo ma ha confermato la stessa versione della Conferenza episcopale - come pure lo stesso Scicluna sul suo account Twitter - sull’edizione inglese del portale ufficiale Vatican News, in cui si sottolinea un collegamento tra la visita dell’arcivescovo e l’atmosfera di indignazione e commozione suscitata dal documentario.

I casi del cappellano di Wałęsa e del suo confessore Cybula

Due i casi riportati nelle due ore e mezzo di filmato che hanno sconvolto in particolare l’opinione pubblica. In primis la confessione del cappellano dell’ex presidente Lech Wałęsa, padre Henryk Jankowski (la cui statua a Danzica è stata abbattuta in senso di protesta) e il suo confessore di lunga data, Franciszek Cybula, morto il 21 febbraio 2019, per anni tra i sacerdoti più importanti e conosciuti della Polonia. Lo stesso Wałęsa, sconcertato dalle rivelazioni, ha dichiarato: «Non ho mai avuto alcun sospetto nei confronti di Cybula, per le persone della mia generazione era quasi un santo, oltre ogni sospetto». 

Gli abusi del marianista, costruttore del Santuario di Licheń

Il secondo caso è quello di padre Eugeniusz Makulski, marianista, storico costruttore del Santuario di Nostra Signora a Licheń. La sua vicenda viene ripercorsa attraverso la voce di un ragazzo divenuto poi sacerdote che, restando anonimo, racconta le violenze subite. I Marianisti della basilica di Licheń hanno subito preso le distanze dopo la pubblicazione del documentario, ribadendo il dolore per tutte le vittime - «Niente è in grado di risarcire loro per questo danno» - e spiegando che «i casi segnalati sono stati inoltrati alla Santa Sede, secondo le norme vigenti della legge della Chiesa». Intanto, «don Makulski si sottomette alle decisioni della Santa Sede, e per decisione dei superiori religiosi viene escluso da ogni attività pastorale». 

Il sacerdote arrestato per pedofilia che partecipa a ritiri con i bambini

Più intricata la storia, riportata nel docufilm, di don Dariusz Olejniczak, sacerdote di Varsavia: condannato a due anni mezzo di carcere per pedofilia, aveva ricevuto un’ordinanza del tribunale che gli vietava qualsiasi contatto con minorenni. Nonostante ciò ha continuato a partecipare ad attività con bambini e adolescenti, tra cui ritiri spirituali. I due registi - si vede nel docufilm - con una telecamera nascosta hanno preso parte ad una messa celebrata da Olejniczak in una parrocchia Malbork nel dicembre 2018. Durante la funzione il prete invita i bambini all’altare e distribuisce loro la comunione. Dopo la pubblicazione del film padre Dariusz, consultatosi con il cardinale arcivescovo Kazimierz Nycz, ha presentato al Papa le sue dimissioni per essere ridotto allo stato laicale. Lo rende noto l’Arcidiocesi di Varsavia in un comunicato: «Padre Olejniczak ha motivato la richiesta con la violazione di un’ordinanza del tribunale», l’aver cioè «intrapreso attività legate al lavoro con i bambini e i giovani, nascondendo questo fatto al curatore nominato dalle autorità ecclesiastiche». Il sacerdote ha «espresso il suo pentimento» e ha assicurato «piena collaborazione con le autorità statali». In accordo con il cardinale «ha lasciato il suo precedente luogo di soggiorno», il seminario Redemptoris Mater di Varsavia. 

A febbraio l’incontro di una vittima polacca con il Papa, quel report definito una «operazione strumentale»

In Vaticano, intanto, la situazione in Polonia viene monitorata costantemente. Tuttavia, spiegano fonti curiali, si fa attenzione a distinguere quelle che sono «operazioni strumentali» miranti ad «un ritorno d’immagine politico». Secondo alcuni osservatori e giornalisti, un gesto del genere è stato quello del 20 febbraio scorso di Marek Lisiński, vittima di un prete a 13 anni, che al termine di un’udienza generale consegnava al Papa il rapporto sulle violazioni della legge da parte dei vescovi nei casi di abusi. Il report era stato stilato dai rappresentanti della Fondazione polacca “Non abbiate paura” che fornisce aiuto legale e psicologico alle vittime, aiutandole anche ad ottenere risarcimenti da parte della Chiesa cattolica. 

Ad accompagnare Lisiński c’erano l’onorevole Joanna Scheuring-Wielgus, membro del partito liberale “Adesso!”, in lizza per il Parlamento europeo e per il Parlamento polacco in autunno, e Agata Diduszko-Zyglewska, femminista, legata all’estrema sinistra radicale. In tanti hanno letto in questo gesto una operazione costruita ad hoc per ottenere consenso politico in piena campagna elettorale, mentre i membri della Fondazione affermano che la presenza dell’onorevole era utile solo a far ottenere un posto a Lisiński all’udienza per riuscire in un intento in cui finora era sempre stato «ostacolato». Quello di parlare con il Papa che, al termine dell’incontro, gli aveva anche baciato le mani.

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