L’abuso delle religiose è un fenomeno «diffuso» anche in Italia. Suor Anna Deodato, membro del Consiglio di presidenza del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana, spiega che «il clericalismo è una piaga presente anche nella nostra Chiesa italiana» e sottolinea che «l’abuso sessuale accade come ultimo, tragico atto di una serie di abusi di potere e di coscienza». La religiosa dell’Istituto delle Ausiliarie diocesane di Milano si attende che la Chiesa tutta e i vescovi in particolare escano dal vertice convocato da Papa Francesco in Vaticano, da giovedì a domenica prossima, più credibili e coraggiosi, avverte che è necessario «passare dalla curiosità che si nutre dello scandalo, ma poi comunque lascia tutto come prima, alla coscienza del dolore che un abuso provoca» e auspica che «la Chiesa faccia spazio all’ascolto femminile capace di accogliere la paura che l’abuso imprime nel cuore e nel corpo della vittima e trasformarle in una nuova vita». 

Suor Deodato da alcuni anni segue vittime di violenze e abusi subiti da parte di personale ecclesiastico maschile e femminile, ed ha raccontato alcune storie incontrate nel suo percorso terapeutico e spirituale nel volume “Vorrei risorgere dalle mie ferite” (Edb, Bologna 2016), con l’introduzione di padre Hans Zollner, presidente del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana, membro della Commissione per la protezione dei minori e referente del comitato organizzativo del vertice sugli abusi che il Papa ha convocato questa settimana a Roma con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo (21-24 febbraio). Suor Deodato è stata nominata nelle scorse settimane membro del Consiglio di presidenza del Servizio Nazionale per la tutela dei minori della CEI.

«Sono diversi anni che ascolto e accompagno donne, consacrate e non, che hanno subito violenze in diversi tempi della loro vita, alcune prima, quando ancora erano minorenni, altre dopo la loro scelta di vita, anche di consacrazione, tutte da parte di uomini e donne di Chiesa», ha detto a settembre scorso a Il Regno: mi può raccontare come è nato questo suo servizio e in cosa consiste?

«Al Centro per accompagnamento vocazionale di Milano, dove lavoro in équipe, normalmente si rivolgono persone, uomini e donne, che sono all’inizio del loro cammino di discernimento, o che già vivono una scelta di vita consacrata o sacerdozio, che stanno attraversando tempi particolari della loro vita o che chiedono un aiuto per una maggiore conoscenza di se stessi in vista, appunto, della scelta vocazionale. Il mio ruolo è cresciuto e si è sviluppato nel tempo accanto alle persone che ho incontrato e iniziato ad accompagnare. La prima donna consacrata, vittima di abuso sessuale, l’ho incontrata nei primi anni del 2000 ed è stato per me l’entrata in un mondo e in un vissuto di dolore e di sofferenza profondo e travolgente. Sapevo della realtà dell’abuso, ma l’incontro con una persona che portava in se stessa questa ferita è stato l’impatto con una realtà ben più tremenda di quanto i “testi di studio e di formazione” illustrano. Può sembrare una affermazione banale, ma ha una portata molto seria: una vittima è una persona, non un caso. Ha una storia estesa e profonda e mai riconducibile e ristretta a ciò che ha subito. L’abuso sessuale di donne consacrate è molto più diffuso di quanto si possa pensare».

Con l’esperienza che ha accumulato, qual è a suo avviso la radice dell'abuso sessuale e quale può essere, di conseguenza, la sua prevenzione o la sua cura, per «risorgere dalle proprie ferite»?

«L’abuso sessuale accade come ultimo, tragico atto di una serie di abusi di potere e di coscienza. Proprio la dinamica del potere, di una prevaricazione su chi è più debole e più vulnerabile è il terreno nel quale l’abuso sessuale avviene. L’abuso è la rottura e la distorsione più grave di una relazione di fiducia all’interno della quale la persona che si è affidata viene manipolata ed usata per una propria gratificazione. “Risorgere dalle ferite” è un cammino lungo, complesso che tocca tutti gli aspetti della persona, i suoi vissuti umani e spirituali. E la via di rielaborazione, rilettura e, se ce ne sarà spazio, di riconciliazione con il trauma subito è molto lunga, complessa, conosce passi avanti, ma anche frenate e soste che vanno rispettate, affinché ogni persona, nella unicità della sua storia, possa recuperare e comprendere che passo fare. Ciascuna persona ha il diritto di essere creduta, accolta, accompagnata in una relazione sicura e rispettosa della sua intimità e interiorità. Per pensare e progettare cammini e programmi efficaci di prevenzione è necessario ripartire da una visione sistemica: un abuso accade all’interno di una società, di un gruppo, di un sistema in cui il potere determina e ha una influenza in ogni espressione di scelta e azione». 

Il Papa sul volo di ritorno da Abu Dhabi ha riconosciuto il problema dell’abuso sessuale delle religiose, alzando così il velo su un dramma in realtà antico, basti pensare alle inchieste che una testata come il National Catholic Reporter vi ha dedicato già a inizio 2000: perché a suo avviso la questione ha faticato emergere? 

«Diciamo che forse è il dolore più nascosto e più profondo rimasto nell’ombra per molto tempo. Lo scorso novembre l’unione internazionale delle Superiore generali (Uisg) ha rivolto un appello ad ogni religiosa “che sia stata vittima di abusi affinché denunci quanto accaduto alla superiora della propria congregazione e alle autorità ecclesiali e civili competenti”. Nel testo della lettera si condannano i fautori della cultura del silenzio e dell’omertà che si servono spesso del pretesto di tutelare la reputazione di una istituzione o che definiscono tale atteggiamento parte della propria cultura. I motivi che hanno portato a tacere questo crimine sono molti: sociali, culturali, politici, ecclesiali. Riguardano non solo le tradizioni comuni e religiose che in molte culture collocano la donna consacrata addirittura in ruoli di servizio alla persona del sacerdote e del vescovo, ma anche l’impossibilità per le donne stesse di fare sentire la loro voce all’interno delle comunità cristiane, soprattutto nei Paesi e nelle culture in cui vi è una marcata disparità di formazione. Come pure c’è un’omertà nascosta dietro alla decisione di non rendere pubblico ciò che accade all’interno delle istituzione, diocesi e parrocchie per non urtare la sensibilità del popolo di Dio e/o per salvare il buon nome della congregazione eccetera, preferendo mantenere tutto segreto. Purtroppo tale segreto troppo spesso è stato sinonimo di collusione, complicità e, nelle situazioni più gravi, di collusione con il male, nascondendo e occultando prove». 

Quando si parla di religiose abusate si pensa spesso a Paesi lontani, invece lei racconta di casi avvenuti in Italia, nei nostri conventi, nelle nostre città... 

«Sì, anche per me è stato l’incontro con una sofferenza che non immaginavo potesse essere così diffusa anche in Italia. Ciascuna persona che ho incontrato e accompagnato ha una storia singolare, alcune sono state abusate in famiglia e non hanno potuto rielaborare e rileggere la propria storia, altre hanno subito abusi da parte di sacerdoti, altre nella stessa comunità religiosa. Il clericalismo è una piaga presente anche nella nostra Chiesa italiana. C’è ancora molta strada da fare per una vera reciprocità nella relazione uomo-donna. Imparare a vivere una feconda ed efficace reciprocità tra uomo e donna che sia frutto di una relazione matura, dell’accettazione e integrazione della propria identità sessuale e di ruolo, è una delle urgenze nella nostra società e nella Chiesa. Capita ancora che il ruolo del sacerdote sia vissuto con una attesa eccessiva in coloro che si stanno preparando al presbiterato per rinforzare la propria identità e sia anche, più o meno consapevolmente, riconosciuto eccessivamente determinante dai laici delle comunità cristiane. In questo attribuirsi un compito decisivo, o essere caricati di un ruolo che rinforza identità ancora fragili e rassicura le attese eccessive nella gente, si può insinuare la tentazione del potere. Si arriva ad abusare proprio attraverso relazioni di manipolazione e di intrusione sia nella intimità delle persone sia attraverso un esibizionismo delle propria persona che raccoglie attorno a sé, rendendole affettivamente dipendenti, proprio le persone più fragili, penso ai minori e agli adulti in stato di vulnerabilità».

Lei fa parte della nuova commissione della CEI per la tutela dei minori: mi può dire quali sono le sue aspettative in questa nuova sfida?

«È una sfida importante in un tempo ancora una volta delicato della vita della Chiesa. Come ci ricorda sempre Papa Francesco, il primo passo è quello di prendere coscienza del dolore che un crimine come l’abuso lascia nel corpo e nel cuore delle vittime. Dare la priorità ad un vero ascolto del dolore è il passo che ci apre alla compassione che tocca la nostra coscienza. Il primo “luogo” che deve essere rinnovato affinché non solo l’abuso non venga reiterato, ma si decida veramente un cammino di conversione e di cambiamento è la nostra coscienza! La nostra coscienza individuale ed ecclesiale. È necessario sollecitare tutta la comunità ecclesiale e la società civile a compiere un salto di qualità importantissimo nell’affrontare questa dolorosa realtà: passare dalla curiosità che si nutre dello scandalo… ma poi comunque lascia tutto come prima, alla coscienza del dolore che un abuso provoca. Solo così si potrà favorire un cambiamento sia nella persona che nelle strutture ecclesiali e civili. Ci aspetta un cammino impegnativo, ma se avremo il coraggio di toccare le piaghe del Signore (cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium) ci sarà dato il coraggio per rompere con le logiche del potere e favorire un rinnovamento, una formazione e una prevenzione che tenga conto di coloro che nella Chiesa e nella società sono i più fragili come i minori e coloro che si trovano in un tempo o in uno stato di vulnerabilità. Sarà importante anche rilanciare l’impegno di assumere con responsabilità e coraggio un discernimento più attento negli anni di seminario, l’urgenza di una formazione affettiva e sessuale che sappia accompagnare le varie fasi della vita e la priorità di imparare a guardare alla piaga dell’abuso in una ottica sistemica: come vive e come si vive nel corpo della Chiesa? Quali segni e gesti veramente evangelici vengono compiuti? Quali derive sono così dilaganti a tal punto da far perdere credibilità all’annuncio del Vangelo? Le attese sono tante, ci sarà bisogno dell’aiuto e del sostegno di molti, soprattutto, senza spiritualizzare, del sostegno che viene da coloro che hanno pagato il prezzo più alto, che sono state vittime e che ora attendono parole veritiere, scelte concrete e gesti efficaci di riconciliazione e di rinnovamento. A loro per primi dobbiamo guardare e con loro impegnarci per prevenire e promuovere una cultura a favore della vita».

 

Senza arrivare a parlare di un «me too» cattolico, si può dire che, dolorosamente, ma la crisi degli abusi può aprire una nuova pagina del protagonismo delle donne nella Chiesa?

 

Personalmente la parola protagonismo non mi piace, la sento come una riproposizione della cultura narcisista che tanto apre la strada al potere maschilista, anche ecclesiale. Credo di più ai cambiamenti che vengono “dal basso”, da una cultura e da una coscienza rinnovata a tal punto da produrre nuovi frutti e nuove scelte dinanzi alle quali non ci si può più nascondere. Se le donne insieme riusciranno a superare la cultura della omertà alzando la loro voce, superando la paura che per troppo tempo le ha tenute nascoste, sino a testimoniare ciò che hanno subito, credo si muoverà qualcosa. Perché questo accada dobbiamo – tutti – uomini e donne – non girare più la testa, occhi e cuore da un’altra parte bensì fermare e denunciare ogni frammento di abuso che possiamo incontrare nella nostra vita quotidiana: ingiustizie, preferenze, prepotenze, sopraffazioni del più forte sul più debole, dell’adulto sul bambino, dell’uomo sulla donna, del prete e del vescovo sulla consacrata e sulla religiosa. Nessuno può essere considerato una cosa e usato a proprio vantaggio, nessuno può essere ridotto allo stato di schiavo a servizio dei miei bisogni. Nessuno. L’omertà è complicità col male. La donna è stata schiacciata e usata a partire da questa omertà che tutto copre e giustifica. Questo è molto grave! Tutti dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà e discernere se ciò che accade e di cui siamo testimoni diretti o indiretti è secondo una visione veramente evangelica o secondo la logica del servilismo.

 

Dal 21 al 24 febbraio il Papa ha convocato un incontro con i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo per affrontare questo problema: cosa si aspetta? Quale ruolo possono avere le donne nel denunciare gli abusi e nel curare questa ferita?

 

Come ha detto papa Francesco, mi aspetto che si prenda coscienza di ciò che accade e che siano dati strumenti a ciascuna conferenza episcopale per sapere come affrontare, combattere e promuovere un’adeguata prevenzione. Certamente come diceva padre Zollner non esistono bacchette magiche ed è pericoloso farsi illusioni, ma ci si aspetta una maggiore chiarezza nelle procedure e nelle norme da applicare. Questo già sarà un passo avanti. La presenza e la testimonianza di persona vittime di abuso sarà molto importante per ricordare a tutti di chi ci si sta occupando e circa che cosa ci si sta confrontando. E’ auspicabile che si arrivi ad un’osservazione sistemica della piaga dell’abuso di potere, di coscienza e sessuale e che questo spinga ad un vero cambio di atteggiamento verso i più vulnerabili. Tutta la Chiesa, in primis i suoi vescovi, ne deve uscire più credibile e coraggiosa.

C’è una ferita molto dolente, una ferita ultima a rimarginarsi e che spesso continua a provocare desolazione e solitudine: quella spirituale. Una ferita che tocca in primis la vittima, ma anche la sua famiglia, gli amici, la comunità alla quale appartiene. Troppo spesso si tace di questo. Troppo spesso è una ferita ultima a guarire. Anche la teologia non trova parole adeguate per affrontarla. E’ un grido del cuore che anela a ritrovare la Sorgente dalla quale è stato generato, la Madre che lo ha accolto: Dio dove eri quando questo prete mi faceva del male? Come posso tornare a sentirmi parte della Chiesa quando proprio a causa della Chiesa la mia vita è stata spezzata e umiliata? Ecco, io credo che le donne sono più capaci di udire, ascoltare, raccogliere questo grido. Che ci siano donne in ascolto delle persone che hanno subito, che siano lì accanto a loro a raccogliere le loro lacrime e a dare coraggio alla loro speranza di giustizia e di redenzione. Che ci siano donne chiamate a questo compito di ridare vita a coloro che la hanno smarrita nel dolore di una violenza che attraversa tutta la persona. Dalle persone che ho accompagnato ho imparato molto, soprattutto che la forza della vita è più forte della violenza della morte: io mi attendo che la Chiesa faccia spazio a questo ascolto femminile capace di accogliere la paura che l’abuso imprime nel cuore e nel corpo della vittima e trasformarle in una nuova vita.

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