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Finita la missione del rover Opportunity: dichiarato «morto» il grande esploratore di Marte

di Leopoldo Benacchio

Addio ad Opportunity, da 15 anni su Marte

3' di lettura

È stato dichiarato ufficialmente morto il 13 febbraio, giusto un giorno prima di San Valentino se si vuole fare i romantici, ed è probabilmente il più grande esploratore di tutti i tempi, anche se piccolo, poco più di una scatola per stivali, leggero, 185 chili, con sei ruote 4 stagioni in metallo e una fattura di accompagnamento, già pagata, di 400 milioni di dollari.

Stiamo parlando, scherzosamente ma con tanta ammirazione, di Opportunity, Oppy per gli amici di Nasa, uno dei due piccoli Rover gemelli - l’altro era Spirit -, che nel 2004 arrivarono sul Pianeta rosso fra l’entusiasmo generale e l’ammirazione per la tecnica di atterraggio di Nasa.

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È stata una tempesta di sabbia che l’ha messo definitivamente fuori uso, dalla scorsa estate non risponde ai comandi inviati da terra e non ci rinvia noi nessun dato, nonostante siano state spedite negli ultimi mesi almeno un migliaio di comandi e sollecitazioni via radio, nella speranza che potesse ripartire, come aveva fatto in precedenza.

Marte, le immagini della missione InSight

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Purtroppo non è successo e la fine è stata ufficialmente decretata. Comunque è stata una missione strepitosa, anche se proprio per il suo successo è passata un po’ nel dimenticatoio come spesso succede a quel che funziona senza dare noie.
Assieme al gemello Spirit, che ha cessato di lavorare nel 2010, era stato disegnato e costruito per lavorare 90 giorni, ma evidentemente i costruttori si sono tenuti un po’ larghi, dato che ha quasi raggiunto i 15 anni di attività, 60 volte tanto. Doveva poi compiere un tragitto massimo di un chilometro nel cratere Eagle prima e poi Endeavour, alla non banale velocità di 200 metri all’ora, e non è una battura, ma alla fin fine il suo contachilometri ne ha segnati poco più di 45.

Immagine inviata il 6 febbraio 2004 dal Rover Opportunity del terreno di Marte

L’altra faccia della medaglia è che deve essere diventato un piccolo incubo per chi ha dovuto tenere in piedi la struttura di controllo e comando per 15 anni invece che per sei mesi, alla Nasa non regalano i quattrini infatti, ma bisogna sudarseli e giustificarli.

I risultati comunque sono notevoli e diversi, il primo e per certi versi più importante, come ha giustamente detto la vice responsabile scientifica della missione Abigail Freaman è stato quello di ispirare almeno due generazioni di americani sull’esplorazione spaziale, Marte e la sua “conquista”. Lei stessa, che oggi è un importante funzionario Nasa, da ragazza alle scuole superiori vinse un concorso e poté vivere dalla sala di controllo l’atterraggio sul Pianeta rosso, qualcosa che la emozionò talmente tanto da fare il possibile, con successo, per restare col suo beniamino a sei ruote.

Oppy ha ottenuto buoni risultati scientifici, come per esempio la datazione geologica di alcune rocce, che sono certamente ancora più vecchie del cratere in cui ha camminato, ha poi trovato tracce evidenti di quella che è la vera araba felice marziana: l’acqua. Ne ha trovato tracce evidenti, nelle zone dove c’è ferro ed ematite che si possono formare solo in presenza di acqua acida, micidiale per noi, ma anche dove c’è argilla, e questa richiede acqua dolce, magari non proprio da gourmet ma buona da bere.

Una ricostruzione di Opportunity su Marte

Opportunity si era salvato dalla sabbia, a differenza di Spirit, comunque anche lui un campione, sopravvissuto sei anni, che era finito in una zona troppo sabbiosa ed era morto perché non era riuscito a voltarsi verso il sole per ricaricare le batterie.

Forse sembrerà strano ma i tecnici hanno evidenziato che quello che si è per primo “rotto”, quando il sottile velo di polvere dovuto alla tempesta marziana ha ricoperto i pannelli solari, togliendo potenza, è stato il sistema di temporizzazione, l’orologio se vogliamo, che è essenziale per tutte le operazioni.

Opportunity, e anche Spirit, per primi ci mostrarono, sul terreno, che Marte non era stato quel posto inospitale e secco che vediamo, ma un mondo caldo e umido poi cambiato per la bassa gravità del pianeta. Per gli ingegneri, infine, Opportunity dimostrò che si potevano costruire anche rover più grandi e capaci, che potessero scalare le montagne che il piccolo Oppy ha solo potuto vedere da lontano.

L’unico rover che resta baldanzoso su Marte è Curiosity, un mastodonte, in confronto, da 900 chili e delle dimensioni di un Suv grosso. Fra poco verrà raggiunto da un suo perfezionato modello capace di analizzare direttamente il terreno e soprattutto da quello europeo, 2020 0 forse 2021, con il famoso trapano italiano progettato dal Politecnico di Milano che arriverà fino a 3 metri di profondità, lì dove se c’è anche un solo batterio, vivo o fossile, potremo stanarlo, al riparo dai raggi cosmici che rendono sterile la superfice di quel pianeta, più di un tavolo operatorio. Si chiamerà Rosalind Franklin, come la scienziata che ci ha fatto conoscere il Dna, l’elica della vita.

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