Papa Francesco guarda con apprensione alla “sua” America Latina, la cui storia e anima è seriamente minacciata da fenomeni come «la frammentazione culturale, la polarizzazione del tessuto sociale e la perdita delle radici», dove anche la stessa Chiesa è stata «invasa dalle colonizzazioni ideologiche». Il Pontefice condivide le sue preoccupazioni con la comunità del Pontificio Collegio Pio Latinoamericano che celebra i 160 anni della sua fondazione, ricevuta in udienza questa mattina in Vaticano.

In particolare, il Papa - in un lungo discorso tutto in spagnolo - sottolinea quanto sia grave il fatto che oggi «si promuovono discorsi che dividono e propagano diversi tipi di confronto e odio verso chi “non è nostro”, importando anche modelli culturali che hanno poco o nulla a che fare con la nostra storia e identità e che, lungi dal mischiarsi in nuove sintesi come in passato, finiscono per sradicare le nostre culture dalle loro tradizioni più ricche e autoctone». 

«Nuove generazioni sradicate e frammentate!», esclama il Pontefice. E la Chiesa latinoamericana «non è estranea» a questa situazione, ma anzi risulta «esposta a tale tentazione». «Anche nella Chiesa c’è l’invasione delle colonizzazioni ideologiche», afferma il Papa. Essa corre così «il rischio di disorientarsi» e di essere facile «preda dell’una o dell’altra polarizzazione» o addirittura «sradicata» se «la sua vocazione ad essere terra di incontro viene dimenticata».

Tutto ciò si può contrastare. Come? Creando «legami e alleanze di amicizia e fraternità». La formazione del “Pio”, uno dei pochi collegi romani «la cui identità non si riferisce ad una nazione o un carisma, ma che cerca di essere luogo di incontro, a Roma, della nostra terra latinoamericana…», mira ad approfondire questo aspetto. 

L’istituto - dal quale sono usciti oltre 30 cardinali e numerosi vescovi (tra cui san Oscar Arnulfo Romero), come ha ricordato il rettore Gilberto Freire, SJ - «può aiutare molto a creare una comunità sacerdotale aperta e creativa, gioiosa e piena di speranza, che se sa soccorrere e aiutare se stessa, è capace di radicarsi nella vita degli altri, fratelli, figli e figlie di una storia e di un patrimonio comune, parte dello stesso presbiterio e del popolo latinoamericano», sottolinea infatti il Papa.

 

Una comunità sacerdotale, cioè, che scopre che «la più grande forza che ha per costruire la storia nasce dalla concreta solidarietà» che trascende la dimensione «semplicemente “parrocchiale”» e realizza comunità «che sappiano aprirsi agli altri per curare la speranza». 

È questo, nell’epoca moderna, una necessità per il continente latinoamericano «segnato da vecchie e nuove ferite» e che «ha bisogno di artigiani della relazione e della comunione». Già da ora, afferma il Papa, si può iniziare a sviluppare tale prospettiva: «Un sacerdote nella sua parrocchia, nella sua diocesi, può fare molto - e questo è un bene - ma corre anche il rischio di bruciarsi, isolarsi o raccogliere tutto per sé stesso. Sentirsi parte di una comunità sacerdotale, in cui tutti sono importanti - non perché sono una somma di persone che vivono insieme, ma per le relazioni che creano - riesce a risvegliare e animare processi e dinamiche capaci di trascendere il tempo». 

Lo stesso «senso di appartenenza» aiuterà inoltre a «stimolare creativamente energie missionarie rinnovate che promuovono un umanesimo evangelico capace di diventare l’intelligenza e la forza propulsiva del nostro continente», assicura Jorge Mario Bergoglio. Senza questo lavoro svolto «fianco a fianco», al contrario, «ci disperderemo, ci indeboliremo e ciò che sarebbe peggio, priveremo tanti nostri fratelli e sorelle della forza, della luce e del conforto dell’amicizia con Gesù Cristo».

Il pericolo è serio: «a poco a poco», avverte il Vescovo di Roma, «quasi senza rendercene conto, finiremo per offrire all’America un “Dio senza Chiesa, una Chiesa senza Cristo, un Cristo senza popolo” o, se vogliamo dirla in altro modo, un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo…». «Puro gnosticismo rielaborato», lo definisce il Papa, che stride con quella che è la tradizione e la memoria dell’America Latina, dove «l’amore di Cristo non può manifestarsi se non nella passione per la vita e il destino dei nostri popoli e in particolare nella solidarietà con poveri, sofferenti e bisognosi».

Francesco esorta perciò ad «essere evangelizzatori con l’anima e dell’anima» e a «sviluppare il gusto di essere sempre vicini alla vita della nostra gente, non isolarci mai da loro». «La missione è passione per Gesù, ma allo stesso tempo è passione per il suo popolo». «Mai - ammonisce il Papa - accartocciarsi in capannoni personali o comunitari che ci tengono lontani dai nodi dove si scrive la storia». Bisogna imparare invece a «gioire con chi è felice, piangere con chi piange e offrire ogni Eucaristia per tutti i volti che ci sono stati affidati».

Il modello di riferimento è san Oscar Romero, ex-studente del Collegio canonizzato lo scorso ottobre «un uomo radicato nella Parola di Dio e nel cuore del suo popolo», sottolinea Papa Francesco. Come lui, «non abbiate paura della santità e passate la vostra vita per la vostra gente». 

In questa strada fatta di «incroci culturali e pastorali», non siamo «orfani», assicura il Pontefice. C’è «la Madre che ci accompagna» e «ci salva dalla paralisi o dalla confusione della paura». «Non dimentichiamola e, con fiducia, chiediamo a lei di indicarci la via, di liberarci dalla perversione del clericalismo, di farci sempre più “pastori di persone”, ogni giorno e di non permetterci di diventare “chierici di stato”».

Un’ultima parola Papa Bergoglio la rivolge alla Compagnia di Gesù, che fin dall'inizio ha accompagnato il cammino dell’Istituto. «Grazie per il vostro lavoro», dice ai gesuiti presenti all’udienza. E coglie l’occasione per ricordare una delle caratteristiche distintive del carisma della Compagnia che «è quella di cercare di armonizzare le contraddizioni senza cadere nel riduzionismo… Questo è ciò che voleva sant’Ignazio quando pensava ai gesuiti come uomini di contemplazione e di azione, uomini di discernimento e di obbedienza». 

Il mandato del Papa ai confratelli è chiaro: «Insegnare ad abbracciare i problemi e i conflitti senza paura; gestire il dissenso e il confronti», aiutare i fratelli in formazione ad «essere padroni di grandi orizzonti e, allo stesso tempo, insegnare a prendersi cura dei piccoli, abbracciare i poveri, i malati e ad assumere il concreto della vita quotidiana».

I commenti dei lettori