Schedato dalla polizia con mia figlia. Gloriosamente

di Fulvio Abbate – Huffingtonpost.it -

La fotoidentificazione dei possibili oppositori al “cambiamento”, magari cominciando dai più giovani, sembrerebbe tra le priorità del Governo dello stesso, che ha ovviamente in Matteo Salvini il proprio instancabile frontman. Un lavoro meticoloso di polizia, come dire, preventivo, sorvegliare e, all’occorrenza, punire. Ovviamente il precipitato ultimo di questa prassi serve a creare, se non accrescere, l’ideale biblioteca di Babele, in questo caso visiva, delle foto segnaletiche, da Scelba a Cossiga, a Salvini, appunto, per restare nell’ambito della cronaca dell’Italia repubblicana. Non sarà certamente un compito da pionieri, intendiamoci; nella storia della fotografia, il momento e soprattutto lo spazio occupato dalle foto a uso “giudiziario”, comprende uno sconfinato appezzamento burocratico, scaffali infiniti…

Dal pericolo pubblico numero uno americano John Dillinger a Benito Mussolini, quando questi era ancora un agitatore socialista, sciarpa e capelli. Un oggetto di interesse perfino artistico, se, addirittura, anni fa, a Roma, il gallerista-collezionista Giuseppe Casetti, dopo averne per caso rinvenuto un enorme mucchio nei cassonetti municipali, ritenne di fare di tutto ciò una mostra: un catasto di facce in bianco e nero, non sempre patibolari, alcune perfino celebri, come lo scatto, altrettanto segnaletico, del pittore Mario Schifano, arrestato per “possesso di sostanze stupefacenti”. L’intero corpus dell’esposizione si ritrovò tuttavia a essere tragicamente sequestrato dagli inviati della Questura il giorno stesso della vernice, così in seguito a un articolo entusiastico di Filippo Ceccarelli che su “Repubblica” dava notizia dell’evento nelle pagine della cultura. Anni fa, continuando nella cronistoria sul tema, addirittura a un mercato delle pulci di Barcellona mi è personalmente accaduto di trovare alcuni album fotografici, già in uso presso gli archivi di polizia cittadini, dove ogni volume, sul suo dorso, era contrassegnato dalle “caratteristiche criminali” dei soggetti censiti, dai “Carteristas”, cioè borseggiatori, agli “Invertidos”, povere facce di camerieri e perfino un prete tra i catturati dal flash e indicati come reprobi. E ancora, lo scopro adesso, un giornalista, Giacomo Papi, ha raccolto in volume le foto segnaletiche di molti soggetti famosi: Bill Gates fermato per guida senza patente, Frank Sinatra per “seduzione di donna sposata”, Malcolm X per furto, e poi Al Pacino, Sacco e Vanzetti, Vallanzasca, Pacciani, Hugh Grant, Al Capone, Pertini, Cesare Pavese, Mata Hari, Michael Jackson e infine le povere inermi vittime sia di Auschwitz sia dei gulag.

Ora, fino a pochi giorni fa, personalmente non avrei mai immaginato di entrare anch’io, sia pure per via indiretta, in quel genere di quadreria “politica”, lo ritenevo anzi un posto immeritato. Poi invece, un sabato mattina, non sono ancora le otto, quando ricevo una telefonata da mia figlia, che ha trascorso la notte al liceo “Virgilio” di Roma: “Papà – dice – devi venire subito a prendermi, la polizia è appena entrata e ha disoccupato la scuola, adesso ci stanno identificando”. Quando la raggiungo, trovo via Giulia, strada citata da Gioachino Belli per la “Commaraccia secca”, sbarrata dai cellulari, e ovunque agenti, soprattutto in borghese. Al momento di andar via, dopo l’identificazione nero si bianco, sullo sfondo monumentale del portone, ci vien chiesto di metterci in posa: noi, i genitori, e la minore, la carta di identità visibile con i suoi dati anagrafici a favore dell’obiettivo, non ricordo adesso se si trattava di macchina fotografica o piuttosto videocamera, ma Daguerre o Lumière, resta l’interrogativo poliziesco sull’intera questione, soprattutto riferito ai diritti fondamentali di democrazia. Ed è forse un nodo repressivo.

Confesso che al momento dello scatto, per un istante almeno, ho pensato di sollevare il pugno chiuso, così come aveva fatto Jane Fonda nel 1970, la sua foto segnaletica è infatti dovuta alla partecipazione a un corteo contro la guerra del Vietnam. Forse non l’ho fatto soltanto pensando che si trattasse di un gesto “desueto”, che avrebbe sicuramente suscitato un moto di implicito scherno da parte dei poliziotti lì presenti. Tornando verso casa ho avuto però la brutta sensazione di quanto sia inquietante la prassi di schedare le persone con modalità che sembrerebbe, appunto, preventiva, una convinzione che nei giorni successivi si è fatta sempre più strada. Quasi sia in corso d’opera l’intento di fondare un nuovo archivio aggiornato destinato a chi non voglia riconciliarsi con il progetto neo-autoritario, ma sì, chiamiamoli pure “sovversivi”, sia in atto sia potenziali, così tra le priorità di un governo che nella persona del suo ministro dell’Interno, conosce soprattutto la povertà culturale delle parole e dei verbi di genere strettamente securitari.

È accaduto infatti che molti manifestanti che con il pullman giungevano nei giorni scorsi a Roma per la manifestazione antirazzista siano stati intercettati lungo la via e dunque fermati identificati e a loro volta fotografati. Sia quelli provenienti dalla Liguria sia gli altri dalla Toscana, i passeggeri fatti scendere, fotografati, controllati gli striscioni, perquisiti, come riferiscono molti partecipanti. Fermati prima di Roma, dopo il casello, filmati a uno a uno. Anche Emergency fa sapere che cinque bus del Movimento migranti e rifugiati di Caserta sono stati a loro volta fermati sempre dalle forze dell’ordine e dirottati verso la campagna dove tutte le persone vengono controllate una a una. Anche i manifestanti di Torino raccontano di essere stati fotografati tutti alla partenza. Idem i bus da Napoli, sempre per controlli prima di entrare a Roma.

Sabato scorso, infatti, proprio in piazza Esedra, dove si raccoglieva il corteo in questione, non ho potuto fare a meno di notare che la Digos aveva portato in piazza, accanto agli uomini in assetto antisommossa, anche i suoi Cartier-Bresson, i suoi Avedon , i suoi Weegee, forse anche le sue Tina Modotti. Stavano lì a scattare e ancora scattare, un fatto che non è sfuggito all’organizzazione del corteo, non a caso uno di loro è un certo punto, impugnando il megafono, ha detto loro: “Fotografateci, fotografateci pure, è una vita che ci fotografate, eppure dovreste saperlo già chi siamo”.

Voglio sperare che si tratti soltanto di un semplice aggiornamento destinato alle semplice passione collezionistica, diportistica del ministro dell’Interno Salvini per la fotografia, un genere ulteriore, quello delle foto segnaletiche, che questi immagini di affiancare agli scatti di still life e alla istantanee paesaggistiche, e magari perfino ai suoi selfie ora in tenuta da escursionista ora a bordo piscina ora da passeggiata sul bagniasciuga ora da sagra ora da funerale di Stato ora perfino da semplice probabile abbiocco post coitum.

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