Il rischio dell’abuso sessuale su bambini nella Chiesa cattolica «non è un fenomeno concluso» ed «esige azioni concrete»: è la conclusione a cui giunge un rapporto commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca, e pubblicato ufficialmente oggi, che, tra l’altro, pur registrando indizi statistici di una qualche correlazione tra abusi, da un lato, omosessualità o celibato, dall’altro, precisa che «né l’omosessualità né il celibato sono di per sé cause dell’abuso sessuale su minori», e punta piuttosto l’attenzione sulla «maturità» psicologica e sessuale dei seminaristi e dei sacerdoti, raccomandando maggiore impegno nella loro formazione, e sul rischio di «clericalismo» che giustifica l’abuso sessuale e, a monte, l’abuso di potere.

«I risultati dell’indagine dimostrano chiaramente che l’abuso sessuale su minori da parte di sacerdoti della Chiesa cattolica non è dovuto al comportamento sbagliato di singoli ma che si deve rivolgere l’attenzione anche alle caratteristiche strutturali di rischio dentro la Chiesa cattolica, che favoriscono l’abuso sessuale su minori o rendono più difficile la sua prevenzione», si legge nel documento che conclude uno studio avviato nel 2014 da un’equipe delle università di Mannheim, Heidelberg e Giessen che in tre anni ha esaminato 38.156 dossier messi a disposizione dalle 27 diocesi tedesche.

I più rilevanti dati registrati dallo studio, intitolato “Abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti cattolici, diaconi e religiosi di sesso maschile nella giurisdizione della Conferenza episcopale tedesca” e pubblicati oggi nel corso dell’assemblea plenaria di autunno dell’episcopato nella città di Fulda, sono stati anticipati nelle scorse settimane dallo Spiegel e dalla Zeit. Tra il 1946 e il 2014 sono stati 3.677 i minori abusati sessualmente da parte di 1.670 preti o religiosi in Germania, ossia il 4,4% dei chierici del Paese in questo lasso di tempo (percentuale, rileva lo studio, analogo a quello registrato negli Stati Uniti dal John Jay College of Criminal Justice 2004 e inferiore al sette per cento individuato dalla Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse in Australia che però, si precisa, ha utilizzato un altro metodo di calcolo). «Probabilmente questo numero è sbagliato per difetto», puntualizza lo studio, «se teniamo conto di ciò che sappiamo sulle zone d’ombra è chiaro che il numero reale è maggiore».

Sono 1023 gli assalitori che hanno abusato una sola volta, 782 hanno compiuto da due a dieci abusi, 96 i veri e propri abusatori seriali con decine di abusi. Il numero più alto è di 44 vittime per un solo accusato. Dei minori abusati 969 erano chierichetti. La maggioranza delle vittime aveva 13 anni, la maggior parte dei primi abusi sono stati commessi da religiosi di età tra i 30 e i 50 anni, il lasso di tempo che intercorse tra l’anno della consacrazione sacerdotale o diaconale e l’anno del primo abuso accusato era in genere di 14,3 anni. Lo studio ha rilevato in uno dei sottogruppi in cui è stato suddiviso il lavoro, quello svolto tramite interviste ai sacerdoti, che nel 36% degli accusati sono emersi indizi di un abuso sessuale subito a loro volta. Le vittime hanno avuto nel corso degli anni o decenni successivi una «vasta gamma» di problemi psicologici, di salute, di relazione, nonché problemi «nel campo della fede e della spiritualità».

Solo 122 abusatori sono stati assicurati alla giustizia civile. Nel 33,9% degli accusati era stato documentato l’avvio di una procedura di diritto canonico, cosa che non è stata fatta per il 53%. Le denunce, che seguono lo stesso andamento statistico, sono state presentate soprattutto dalle vittime o dalle loro famiglie (27,5%), solo nel 19,4% dei casi da rappresentanti della Chiesa cattolica. Il 10,7% dei sacerdoti abusatori si sono autodenunciati. Le denunce presentate presso la Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma riguardano solo il 14% degli accusati. L’intervallo di tempo intercorso tra il primo abuso e l’avvio della relativa procedura è generalmente molto lungo, comprendendo in media oltre 13 anni (per le denuncie), 22 anni (per le procedure secondo il diritto canonico), e 23 anni (per la segnalazione alla Congregazione per la Dottrina della Fede). Circa un quarto di tutte le procedure di diritto canonico avviate non hanno portato a nessuna sanzione. Lo studio ha anche «fatto emergere indizi secondo cui i fascicoli personali o altri documenti di rilievo per le analisi sono andati stati distrutti o manipolati». I sacerdoti accusati di abusi sono stati trasferiti da una parrocchia ad un’altra più spesso che gli altri sacerdoti (91,8% contro 86,8%), senza adeguate spiegazioni ai fedeli, nel 18,3% i trasferimenti interni alla diocesi, nel 25,6% i trasferimenti da una diocesi all’altra, dipendevano da un’accusa di abuso sessuale.

La ricerca individua tre tipologie di prete abusatore: colui che ha una vera e propria «preferenza pedofilia» e che possono essere attratti dal sacerdozio per «le sue molteplici possibilità di contatto con bambini e adolescenti», il «tipo narcisistico-sociopatico» per il quale «l’abuso sessuale appare come una delle molte forme dell’abuso di potere narcisistico» e, infine, la persona immatura sul piano personale e sessuale, per il quale «l’obbligo del celibato potrebbe offrire una possibilità male interpretata di non doversi occupare sufficientemente della propria identità sessuale» e al quale, anni dopo la consacrazione, «l’aumento dello stress lavorativo, l’isolamento e la mancanza di sostegno da parte della Chiesa fanno cadere gli ostacoli verso crimini di abuso sessuale».

La percentuale relativa ai diaconi accusati è molto inferiore a quella dei sacerdoti (celibi) accusati. Inoltre, il 62,8% delle vittime di abuso sessuale erano di sesso maschile, il 34,9% di sesso femminile. «La palese prevalenza di vittime maschili si distingue dall’abuso sessuale su minori commesso in contesti non religiosi». Quanto agli abusatori, nel 14% dei sacerdoti accusati in base ai fascicoli delle diocesi, nel 19,1% di quelli registrati nei fascicoli giudiziari e nel 72% di coloro che sono stati intervistati dai ricercatori sono stati registrati «indizi di un orientamento omosessuale». Al proposito lo studio individua diversi fattori, tra i quali il fatto che prima del Concilio Vaticano II al servizio di chierichetti erano ammessi sono i maschi, per poi concentrare l’attenzione sugli «atteggiamenti ambivalenti della morale sessuale cattolica nei confronti dell’omosessualità e sul significato del celibato».

«L’obbligo di una vita nel celibato – è la spiegazione esposta – potrebbe sembrare la soluzione dei propri problemi psichici a seminaristi inclini a negare le proprie tendenze omosessuali, dato che offre anche la prospettiva di una stretta convivenza esclusivamente con uomini, perlomeno in seminario. A questo riguardo specifiche strutture e regole della Chiesa cattolica potrebbero avere un elevato potenziale di attrazione per persone immature con tendenze omosessuali» e «c’è quindi il pericolo che queste tendenze debbano essere vissute “di nascosto”. La complessa interazione di immaturità sessuale, di possibili latenti tendenze omosessuali negate e respinte in un ambiente in parte anche manifestamente omofobo potrebbe essere un’altra spiegazione della prevalenza di vittime di sesso maschile nell’abuso subito da religiosi cattolici. Tuttavia né l’omosessualità né il celibato sono di per sé cause dell’abuso sessuale su minori».

Sempre sul tema dell’omosessualità, i ricercatori tedeschi precisano che «non è un fattore di rischio di abuso sessuale» ma, scrivono, «i risultati dello studio ci obbligano a occuparci del significato che hanno le idee specifiche della morale sessuale cattolica riguardo all’omosessualità nel contesto dell’abuso sessuale su minori. Deve essere urgentemente ripensato anche l’atteggiamento fondamentalmente negativo della Chiesa cattolica verso la consacrazione di uomini omosessuali. Le terminologie idiosincratiche usate dalla Chiesa in questo contesto come quelle di “tendenze omosessuali profondamente radicate” sono prive di qualsiasi fondamento scientifico. Al posto di questi atteggiamenti occorre creare un’atmosfera aperta e tollerante».

In generale, per lo studio tedesco, «una vita nel celibato scelta con maturità e su base volontaria è possibile. La premesse di base, cioè la scelta volontaria e la maturità dello sviluppo della personalità non sono necessariamente presenti in tutti i seminaristi».

La ricerca commissionata dalla Conferenza episcopale tedesca si conclude con una serie di raccomandazioni alla Chiesa, pur riconoscendo gli sforzi che già sono stati fatti in particolare a partire dai primi anni 2000. Viene in particolare suggerito alla Conferenza episcopale tedesca di applicare in modo omogeneo in tutte le 27 diocesi le misure sinora adottate «in modo palesemente eterogeneo»; di documentare le denunce in modo omogeneo; di organizzare uno sportello indipendente per le denunce da fare anche in forma anonima; di migliorare le procedure canoniche, senza pensare che le procedure penali dispensino la chiesta dalla responsabilità di tutelare gli interessi delle vittime e, al contempo, assistere gli accusati; e di migliorare, sia qualitativamente che quantitativamente, la selezione e poi la formazione psicologica nei seminari nonché la formazione continua per i sacerdoti. Quanto alle vittime, lo studio suggerisce ai vescovi di introdurre una giornata annuale loro dedicata, di uniformare le procedure di indennizzo, e di coinvolgere le vittime nelle procedure di prevenzione.

La ricerca affronta anche il tema del segreto confessionale, limitandosi a scrivere che «dal punto di vista scientifico bisogna sottolineare la responsabilità del confessore di fornire un’adeguata spiegazione, e di aiutare nell’elaborazione e nella prevenzione degli abusi sessuali individuali».

Lo studio tedesco, peraltro, si sofferma su un tema caro a Papa Francesco, quello del clericalismo: in tutti i casi di abuso, viene registrato che l’abusatore ha sfruttato la propria autorità. «L’abuso sessuale è prima di tutto anche abuso di potere. In questo contesto nella Chiesa cattolica l’abuso di potere viene avvicinato al concetto di clericalismo, che ne sarebbe un’importante causa con una specifica struttura», scrivono i ricercatori. In questo senso, «le sanzioni di singoli accusati, il pubblico rammarico, contributi finanziari alle vittime, l’istituzione di programmi di prevenzione e una cultura della reciproca attenzione sono misure necessarie ma assolutamente insufficienti. Se le reazioni della Chiesa cattolica si limitano a questi interventi, in realtà fondamentalmente positivi, essi sarebbero addirittura in grado di mantenere le strutture del potere clericale, dato che tendono a curare solo i sintomi di uno sviluppo negativo, ostacolando così il confronto con il vero problema del potere clericale».

Il presidente dei vescovi tedeschi, il cardinale Reinhard Marx, che già nei giorni scorsi aveva pronunciato a nome della Chiesa cattolica le proprie scuse, è tornato oggi a dichiarare: «Per tutti i fallimenti e per tutto il dolore, come presidente della Conferenza episcopale tedesca, mi scuso».

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