«A volte alcuni pensano che la forza di un popolo si misuri oggi da altri parametri. C’è chi parla con un tono più alto… c’è chi, alle urla, aggiunge minacce di armi, spiegamento di truppe, strategie... Questo è colui che sembra più “forte”». Ma questo «non è cercare la volontà di Dio». È un atteggiamento che «nasconde in sé un rifiuto dell’etica e, con essa, di Dio». Papa Francesco conclude il suo viaggio nei Paesi baltici celebrando una messa nella Piazza della Libertà di Tallinn, capitale dell’Estonia, e pronuncia un’omelia che contiene un accenno geopolitico al riarmo ai confini tra Nato e Russia: nella vicina Kalinigrad Mosca ha infatti riposizionato i missili a testata nucleare Iskander, mentre l’Alleanza atlantica ha inviato truppe e armamenti nei Paesi baltici.

In un Paese dove più del 70 per cento della popolazione si dichiara non credente, ci sono circa 10mila persone presenti alla celebrazione del Papa. Tra questi, anche molti non cattolici. Il palco papale è sovrastato dalla Colonna della Vittoria e dell’Indipendenza estone, inaugurata nel 2009, che commemora i cinquemila estoni caduti e i 15mila soldati feriti durante la guerra d’indipendenza dalla Russia, combattuta tra il 1918 e il 1920. È alta 23 metri e composta da 143 lastre di vetro retroilluminate a led. In cima è collocata una grande riproduzione della Croce della libertà, la massima onorificenza al valor militare.

Nell’omelia, commentando la lettura sull’arrivo del popolo ebraico – già libero dalla schiavitù d’Egitto – al Monte Sinai, Francesco ha detto: «Come non ricordarvi in quella “rivoluzione cantata”, o in quella catena di due milioni di persone da qui a Vilnius? Voi conoscete le lotte per la libertà, potete identificarvi con quel popolo».

Il popolo che arriva al Sinai, continua il Papa, «non è obbligato, Dio lo vuole libero. Quando diciamo che siamo cristiani, quando abbracciamo uno stile di vita, lo facciamo senza pressioni, senza che questo sia uno scambio in cui noi facciamo qualcosa se Dio fa qualcosa. Ma, soprattutto, sappiamo che la proposta di Dio non ci toglie nulla, al contrario, porta alla pienezza, potenzia tutte le aspirazioni dell’uomo. Alcuni si considerano liberi quando vivono senza Dio o separati da Lui. Non si accorgono che in questo modo viaggiano attraverso questa vita come orfani, senza una casa dove tornare».

«Spetta a noi - aggiunge Francesco - come al popolo uscito dall’Egitto, ascoltare e cercare. A volte alcuni pensano che la forza di un popolo si misuri oggi da altri parametri. C’è chi parla con un tono più alto, così che parlando sembra più sicuro – senza cedimenti o esitazioni –; c’è chi, alle urla, aggiunge minacce di armi, spiegamento di truppe, strategie... Questo è colui che sembra più “forte”. Questo però non è cercare la volontà di Dio, ma un accumulare per imporsi sulla base dell’avere. Questo atteggiamento nasconde in sé un rifiuto dell’etica e, con essa, di Dio».

Bergoglio accenna nuovamente ai rischi del consumismo: «Voi non avete conquistato la vostra libertà per finire schiavi del consumo, dell’individualismo o della sete di potere o di dominio». Il Papa spiega che «eletti non significa esclusivi né settari; siamo la piccola porzione che deve far fermentare tutta la massa, che non si nasconde né si separa, che non si considera migliore o più pura». Come l’aquila che «mette al riparo i suoi aquilotti, li porta in luoghi scoscesi finché non riescono a cavarsela da soli, ma deve spingerli a uscire da quel posto tranquillo. Scuote la sua nidiata, porta i suoi piccoli nel vuoto perché mettano alla prova le loro ali; e rimane sotto di loro per proteggerli, per impedire che si facciano male». Così, spiega Francesco, «è Dio col suo popolo eletto, lo vuole in “uscita”, audace nel suo volo e sempre protetto solo da Lui. Dobbiamo vincere la paura e lasciare gli spazi blindati, perché oggi la maggior parte degli estoni non si riconoscono come credenti».

«Oggi - ha concluso il Papa - scegliamo di essere santi risanando i margini e le periferie della nostra società, là dove il nostro fratello giace e patisce la sua esclusione. Non lasciamo che sia quello che viene dopo di noi a fare il passo per soccorrerlo, e nemmeno che sia una questione da risolvere da parte delle istituzioni; siamo noi stessi quelli che fissiamo il nostro sguardo su quel fratello e gli tendiamo la mano per rialzarlo, perché in lui c’è l’immagine di Dio».

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