Potrebbe diventare impossibile condividere meme, parodie, video artistici o di carattere politico perché l’obbligo di filtraggio votato oggi dal Parlamento europeo imporrebbe alle piattaforme online di effettuare un controllo preventivo su tutte le creazioni condivise dagli utenti che possano contenere contenuti protetti. E parimenti, potrebbe diventare impossibile trovare notizie sui maggiori motori di ricerca, perché questi ultimi, al fine di non pagare una tassa sugli snippet, cioè le frasi riportanti la descrizioni delle pagine che l’utente sta cercando, potrebbero sospendere il servizio (è già accaduto in Spagna e Germania per via di analoghe legge nazionali). La decisione odierna del comitato giuridico del Parlamento europeo costituisce per ora solo un passaggio legislativo, ma questo scenario potrebbe effettivamente concretizzarsi se la proposta della Commissione europea sulla riforma del copyright dovesse essere definitivamente approvata nei prossimi mesi dai legislatori europei, vale a dire il Parlamento europeo in seduta plenaria ed il Consiglio dei ministri. Ad ogni modo, che la risicata maggioranza che ha approvato il testo lascia pensare che la lotta sia ancora lunga.

Stretta sul copyright: addio condivisioni, ci sarà anche una tassa sui link

Ma come siamo arrivati a questo punto? L’idea che occorresse riformare la disciplina del copyright per adeguarla all’evoluzione di Internet era condivisa da tempo: occorre tenere conto dei nuovi modelli di distribuzione e fruizione, dell’esistenza di nuovi operatori ed intermediari sconosciuti fino a pochi anni fa, nonché dell’esigenza di proteggere e promuovere i contenuti in modo efficace rispetto al nuovo contesto tecnologico e di mercato. Su queste tematiche però se n’è inserita una nuova, quello del c.d. «value gap»: l’industria dei contenuti tradizionali (tra cui soprattutto le TV commerciali, i produttori audiovisivi ed i maggiori editori) sostiene che una buona parte del loro valore venga ora «scippata», con l’avvento di Internet ma soprattutto dei social, dalle grandi piattaforme online (in primis Youtube, ma anche GitHub, Instagram and eBay) che ospitano i contenuti caricati dagli utenti e guadagnano in vari modi, anche grazie alla pubblicità online.

Il tema è importante perché salvaguardare un’industria di qualità per contenuti e giornalismo è fondamentale nella società europea. Tuttavia, la proposta che si sta discutendo a Bruxelles sembra provocare talmente tanti danni collaterali che andrebbe fortemente ripensata. Non è un caso che i grandi padri di Internet (tra cui Vincent Cerf, Tim Berners-Lee e Tim Wu) nonché l’esperto ONU per la libertà d’espressione, David Kaye, siano recentemente intervenuti chiedendo di ripartire da zero. In effetti, nonostante la riforma difesa dalle grandi televisioni sia stata spiegata ai politici europei come una crociata contro Google & Co, alla fine ne sarebbero pregiudicati tutti, dalle piccole start-up agli utenti: per loro Internet non sarebbe più come prima, cioè non sarebbe più uno spazio libero dove scambiare idee, sperimentare creatività e nuovi modelli di business. L’obbligo di filtraggio preventivo potrebbe avere gravissimi effetti restrittivi, per altro consolidando il mercato attorno ai grandi player esistenti (per lo più americani) che hanno le risorse per cavarsela, ma lasciando fuori i più piccoli (soprattutto europei). E non è detto che ci guadagnerebbe l’industria dei contenuti, che appare in verità poco granitica sul punto: ed infatti molti editori, soprattutto quelli più piccoli e che operano prevalentemente online, si sono fermamente opposti alla riforma.

Il dibattito in corso sta facendo emergere sempre di più forze e debolezze, ma soprattutto contraddizioni, dell’industria dei contenuti europea: da un lato, essa appare fortissima nel dettare la propria agenda a legislatori nazionali ed europei, perché pochi parlamentari, ministri o commissari se la sentono di opporsi ad organizzazioni che riescono efficacemente ad apparire come gli unici rappresentanti della cultura e della creatività (mentre la realtà è un po’ più complessa); dall’altro, essa appare subalterna, divisa e frammentata rispetto ai colossi americani, siano essi Internet o produttori di contenuti, ed appare condannata ad un ineluttabile nanismo economico e culturale rispetto ai grandi trend globali.

Queste contraddizioni sono emerse in maniera sconcertante nell’altro infuocato dibattito dedicato al copyright, quello sul geo-blocking. Qui l’industria europea dei contenuti ha vinto, riuscendo a difendere un framework giuridico che sostanzialmente consente di geo-bloccare i contenuti online, per cui ad un utente italiano può essere impedito di fruire di contenuti online erogati virtualmente in un altro paese. Una situazione che fa proliferare pirateria e soluzione tecnologiche alternative. Questo sistema è difeso dall’industria europea con l’argomento secondo cui tali restrizioni territoriali sarebbero necessarie per finanziarie la produzione delle pellicole, visto che produttori e distributori si accordano con licenze esclusive territoriali. Il mercato funziona effettivamente così, ed i legislatori europei hanno confermato lo status quo temendo che altrimenti avrebbero messo in pericolo i produttori europei di contenuti. Ma poi, nessuno si è reso conto che il diritto di geo-bloccare viene in realtà sfruttato dalle grandi major americane, che producono a casa loro, esportano il loro modello culturale ed in Europa si limitano a ricavare profitti elevatissimi grazie alla facoltà di geo-bloccare il ns continente e dividerlo artificialmente in 28 (presto 27) mercati, un’assurdità che a casa loro (visto che hanno 50 stati) non sarebbe permessa. Tale sistema rafforza la leadership culturale e creativa degli americani in Europa, mentre a casa nostra si discute sul perché sia giusto impedire ad un estone di scaricarsi uno sconosciuto filmetto da un sito ungherese. Sarebbe ora che ci si rimettesse a pensare in termini europei piuttosto che a difesa di interessucci nazionali.

Si badi bene, non è questo il terreno per criticare la UE perché questo quadro sconcertante è creato soprattutto dai veti e dai diktat nazionali, piuttosto che dalla burocrazia europea. Anzi, laddove gli uffici di Bruxelles possono muoversi con maggiore libertà, e lì che si raccolgono maggiori frutti: ed infatti molti occhi sono puntati verso il Commissario Vestager ed il suo direttorato della concorrenza, che da tempo stanno investigando il mercato delle pay-tv. Grazie ai loro poteri di enforcement, i funzionari di Bruxelles potrebbero ben presto dichiarare invalidi gli accordi di ripartizione territoriali da cui nasce la pratica del geo-blocking. Se ciò avvenisse, qualsiasi riforma restrittiva del copyright dovrebbe confrontarsi con uno scenario completamente nuovo.

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