In piedi, a capo chino, con un mazzo di fiori bianchi e gialli in mano. Francesco si presenta come un «pellegrino» al cimitero di Alessano dove è sepolto da 25 anni don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi, di cui è in corso la causa di beatificazione. Bergoglio gli rende omaggio pregando per circa cinque minuti, silenziosamente, sulla nuda lastra in marmo che ne custodisce i resti, che reca la scritta “Don Tonino Bello, terziario francescano”. A fianco si erge un albero di ulivo, segno di quella pace che per don Tonino era la prima urgenza in questo mondo frantumato, sui cui rami sventolano bandierine arcobaleno con la scritta “Pax. Pace. Peace”.

Francesco vi arriva in processione, affiancato dal vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, monsignor Vito Angiuli, e dal sostituto alla Segreteria di Stato, Angelo Becciu, dietro c’è il sindaco Francesca Torsello. Dopo aver pregato sulla tomba del Servo di Dio, il Papa si siede brevemente davanti alla tomba della madre Maria, seppellita a pochi passi com’era desiderio di monsignor Bello che diceva di «voler stare vicino alla sua mamma».

Nello stesso cimitero si svolge il saluto ad un gruppo di parenti di don Tonino: i fratelli Trifone e Marcello, i nipoti e pronipoti che gli consegnano una stola appartenuta a Bello, che gli fu regalata durante un viaggio a El Salvador nel decennale dell’assassinio di monsignor Oscar Romero, e un grembiule ricamato dalle donne del paese. Bergoglio bacia i bambini e scambia alcune parole interrompendo così il silenzio con il quale ha iniziato questa visita pastorale in Puglia, in cui ha fatto ritorno a neppure un mese dal viaggio sulle orme di Padre Pio. 

All’abbraccio alla famiglia di sangue segue quello alla famiglia “allargata” di Bello, la popolazione di Alessano che attende numerosa il Pontefice nel piazzale adiacente al cimitero. Sono circa 20mila. Con loro Papa Francesco - che arriva in papamobile - condivide l’emozione per la preghiera sulla tomba, la quale, osserva, «non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: don Tonino, seminato nella sua terra, sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio».

 

«Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servire», erano le parole del vescovo.

Per lui i poveri erano la «vera ricchezza». E «aveva ragione», commenta il Papa, «perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa». Francesco si rivolge direttamente al Servo di Dio: «Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda». Quando invece è il Vangelo stesso a chiamare ad «una vita spesso scomoda».

«Una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene», afferma il Papa. 

Don Tonino richiama dunque «a non teorizzare la vicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino». Lui l’ha fatto, «coinvolgendosi in prima persona, fino a spossessarsi di sé». «Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia». 

Infatti, osserva il Pontefice, «se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione». Diceva, «speranzoso», don Tonino: «Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini”». 

Questa vocazione di pace appartiene alla terra di Alessano, «meravigliosa terra di frontiera – finis-terrae – che don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno», annota Francesco. E aggiunge: «Siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente». 

In questa terra, «Antonio nacque Tonino e divenne don Tonino». Un diminutivo «semplice e familiare» che però ci parla e racconta «il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire una mano tesa». A tutti, nessuno escluso. Don Tonino lo raccomandava sempre ai suoi sacerdoti: «Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza».

Parole che, secondo Francesco, «rivelano il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi»

Il nome di “don Tonino”, inoltre, dà la cifra dell’uomo Tonino, della sua «salutare allergia verso i titoli e gli onori», del suo «coraggio di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni». «Don Tonino non lo faceva certo per convenienza o per ricerca di consensi, ma mosso dall’esempio del Signore»; lui così mostrava «la forza di dismettere le vesti che intralciano il passo per rivestirci di servizio, per essere Chiesa del grembiule, unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo».

Il Papa, interrotto più volte dagli applausi, conclude esortando ad essere «contempl-attivi». Sì «con due t», cioè «gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione». Gente che «non separa mai preghiera e azione».

«Caro don Tonino», aggiunge Francesco tornando a rivolgersi ancora a don Bello, «se ce lo chiedessi, dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi e per le nostre continue giustificazioni. Ridestaci allora alla nostra alta vocazione; aiutaci ad essere sempre più una Chiesa contemplattiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo!». Di qui una raccomandazione a tutti i fedeli, di Alessano e del mondo: «Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il Vangelo». E a farlo «senza sconti».

Infine, guardando l'icona della Madonna di Leuca, Vergine di finibus-terrae, collocata sul palco dove campeggia una gigantografia su sfondo nero di don Tonino Bello, Papa Bergoglio dice a braccio: «Adesso preghiamo insieme la Madonna, poi vi darò la benedizione. D’accordo?». Numerosi i regali, tra questi  un “pumo”, un oggetto dalla forma ovale in ceramica solitamente posto sui balconi a protezione della casa, e una riproduzione della croce alata, simbolo di Alessano che don Tonino volle come suo stemma. 

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