Molfetta è una cittadina dove i commercianti chiudono i negozi alle 13 per tornare a pranzo a casa, i bambini giocano in mezzo alla strada col pallone o inseguendo i piccioni, e sui balconi fiorati sono appese bandiere e stendardi come si usa per le grandi feste patronali. Affissi ai diversi palazzi in pietra e muratura di quello che era il centro storico, schierati come un presepe naturale nella via centrale che dalla stazione conduce al porto, ci sono cartelloni e gigantografie del volto di Papa Francesco o di quello di don Tonino Bello. Sono colorati con i colori della bandiera della pace, quella di cui il vescovo - che continuava comunque a farsi chiamare “don Tonino” - chiedeva di diventare «costruttori», oppure riportano scritte di benvenuto al Papa o frasi celebri di monsignor Bello. 

Sono sui palazzi ma anche dentro le vetrine e nei bar, sui lampioni o a circondare il palco bianco e giallo dove Francesco celebrerà la messa, allestito davanti al mar Adriatico in quel porto dove si svolsero i funerali di don Tonino nel 1993, che videro centinaia di migliaia di persone distese lungo il piazzale antistante tra la capitaneria e il maestoso duomo di San Corrado.

Proprio il palco, su cui campeggia una enorme croce stilizzata in legno e un albero di ulivo, simbolo di pace ma anche dell’agricoltura pugliese, è diventato l’attrazione dei molfettesi e dei fedeli giunti da tutta la Puglia in queste ore, che, nonostante gli operai ancora al lavoro sotto il sole, si avvicinano per scattare foto e selfie. 

È lì che si muove, indaffaratissimo, don Vito Bufi, parroco del “vecchio Duomo”, come lo chiamano gli abitanti, capolavoro dello stile romanico-pugliese a diretto contatto col mare. «Sono ore febbrili», racconta a Vatican Insider. Non si fatica a crederlo, è la prima volta che un Papa viene in questo antico borgo portuale. In passato c’era stata la visita di Ratzinger a Leuca e ancora prima (circa 24 anni fa), Wojtyla a Lecce, ma nessun Pontefice aveva messo mai piede a Molfetta. 

Domani si registrerà, dunque, un pezzo di storia per questo paese. Ancor più considerando che il viaggio cade nel 25esimo anniversario della morte del suo storico pastore, don Tonino, al quale la cittadina deve la sua fama e a cui Papa Francesco renderà omaggio visitando anche la tomba ad Alessano. «Tutto qui parla di lui, anche le pietre», spiega don Vito che ha collaborato a stretto contatto con il vescovo, essendo all’epoca responsabile della pastorale giovanile. 

La sua scrivania è piena di fotografie, lettere e documenti, ma ancora più piena è la memoria: di ricordi, di aneddoti, di scene che «sembrano avvenute l’altro ieri», come racconta. Ad esempio rimangono vivide le immagini degli incontri che don Bello organizzava in Avvento e in Quaresima per i giovani, che per lui rappresentavano, insieme ai poveri, una priorità pastorale. 

«Aveva una grande attenzione per i giovani seminaristi, di cui curava la formazione e la vocazione, ma anche per i ragazzi in genere», spiega il sacerdote. «Organizzavamo insieme questi incontri affollatissimi divisi per città dove lui voleva rivolgersi non solo a quelli che frequentavano la parrocchia ma anche ai lontani dalla fede. Nelle sue riflessioni era attento, infatti, a non portare solo argomenti di carattere religioso ma di far entrare anche le voci dei non credenti per dare una risposta. Ad esempio un anno scegliemmo una canzone di Antonello Venditti, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, tratta dal testo di Milan Kundera, per spiegare la bellezza della vita e di una vita secondo i valori».

Da quegli incontri si è formata una intera generazione di persone oggi impegnate nei diversi centri Caritas o nell’Azione Cattolica e nelle opere «inventate» da don Bello a Molfetta, come l’associazione C.a.s.a. di Ruvo o la Casa di accoglienza per i senza fissa dimora. Molti si sono impegnati in politica, uno dei “ragazzi” di don Tonino è diventato pure sindaco. Tanti, insieme a figli e nipoti, si sono messi a disposizione per organizzare la visita del Papa di domani, anche solo impegnandosi per il servizio d’ordine. 

Un segno di «gratitudine» per don Tonino, spiegano, di cui ancora ricordano l’approccio completamente nuovo nei loro confronti che «in quegli anni ha fatto la storia», afferma don Bufi, ma che è stato anche fortemente criticato. Non pochi giudicavano il vescovo di Molfetta «una figura controversa». Specialmente dal 1986 in poi, quando da presidente di Pax Christi espresse con vigore le sue posizioni a favore della pace e contro ogni tipo di conflitto.

In quegli anni si combatteva la Guerra del Golfo e don Bello fece scalpore partecipando al programma tv “Samarcanda” di Michele Santoro, durante il quale disse, in sintesi, che un soldato doveva rifiutare di lanciare una bomba se avesse avuto la certezza di uccidere dei civili (tutto documentato da un cliccatissimo video su YouTube). «Fu accusato di istigare alla diserzione, soffrì molto per quelle critiche», ricorda don Vito Bufi, «soprattutto lo fece soffrire che nessuno del Consiglio pastorale diocesano volle sottoscrivere la lettera in cui questa idea veniva assunta come proposta della Chiesa di Molfetta. Alcuni laici e preti si opposero, alla fine la firmarono solo lui e il suo predecessore a Pax Christi, monsignor Luigi Bettazzi. Tornò a casa disorientato, ma andò avanti». 

Don Tonino era così, uno che si rimboccava le maniche. «Ci fu un altro momento particolare - racconta il prete - quando si trovò contro quasi tutte le autorità locali perché aveva sottolineato delle ingiustizie dell’amministrazione comunale criticando il trattamento delle famiglie povere costrette a pagare affitti molto alti per le loro case. Voleva tenere un discorso in occasione del Natale a riguardo ma non si presentò nessuno. Allora registrò il suo discorso, duplicò le audio cassette e le spedì a tutti come regalo natalizio».

Se oggi don Tonino Bello fosse vivo «tirerebbe le orecchie ai giovani», assicura il parroco, «perché i giovani, anche per la complessità del vivere di questo tempo tra disoccupazione e via dicendo, hanno un po’ tirato il freno sull’esperienza del volontariato. Negli anni di episcopato di don Tonino c’erano una marea di giovani che si mettevano a disposizione per qualunque esperienza, molti anche non credenti. Adesso si fa difficoltà a buttarsi nella mischia con generosità, lui li avrebbe sicuramente richiamati al loro “dovere” e li avrebbe anche entusiasmati, specialmente nell’esperienza dell’accoglienza dei migranti e dei profughi». 

Come pure, e il sacerdote di questo ne è convinto, «davanti alle esperienze di morte e violenze che abbiamo visto in questi giorni in Siria, don Tonino avrebbe urlato che bisogna cessare ogni guerra perché la pace è l’unico ideale da portare avanti. Avrebbe detto a tutti, come quella volta nell’Arena di Verona: “In piedi, costruttori di pace!”».

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