Nuovo colpo di scena nella vicenda del vescovo di Ahiara, Peter Ebere Okpaleke, il prelato nigeriano nominato nel 2012 da Benedetto XVI che di fatto non ha mai potuto insediarsi pienamente nella propria diocesi al sud-est del Paese a motivo delle accese contestazioni da parte del clero e dei laici. Le motivazioni addotte sono di carattere etnico. Oggi, lunedì 19 febbraio 2018, è stato reso noto che Papa Francesco ha accolto la rinuncia presentata da Okpaleke, che dopo quasi sei anni lascia la diocesi. Lo stesso Bergoglio era intervenuto in modo diretto e forte nella vicenda nel giugno 2017, quando aveva intimato ai preti di Ahiara di obbedire al loro pastore, pena la scomunica nel caso non l’avessero fatto, e di inviargli una lettera con una richiesta di perdono. Il Pontefice - informa un comunicato della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli riportato da Fides - ha ricevuto centinaia di lettere di preti di Ahiara che gli ribadivano «obbedienza e fedeltà» ma manifestavano anche la «difficoltà psicologica» di collaborare con il presule. Per questo «pentimento», il Papa «non ha voluto procedere con sanzioni canoniche», ed ha accettato la decisione di Okpaleke di porre fine a quello che era ormai diventato un insostenibile braccio di ferro.

«Il Santo Padre Francesco – si legge nel bollettino diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede - ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ahiara (Nigeria), presentata da S.E. mons. Peter Ebere Okpaleke, e al tempo stesso ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima diocesi S.E. mons. Lucius Iwejuru Ugorji, vescovo di Umuahia». 

Nel suo comunicato la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli riferisce che Francesco «nei mesi di giugno e luglio 2017, come da lui richiesto, ha ricevuto 200 lettere da parte di singoli sacerdoti della diocesi di Ahiara, in cui essi gli hanno manifestato obbedienza e fedeltà. Alcuni, tuttavia, hanno fatto presente la propria difficoltà psicologica a collaborare con il presule dopo questi anni di conflitto». «In considerazione del pentimento», il Papa «non ha voluto procedere con sanzioni canoniche, ed ha incaricato la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli di rispondere a ciascuno di essi».

A sua volta il Dicastero missionario «ha esortato ogni sacerdote a riflettere sul grave danno inferto alla Chiesa di Cristo ed ha auspicato che mai in futuro abbiano a ripetersi azioni così irragionevoli di opposizione verso un presule legittimamente nominato dal Santo Padre; ha anche chiesto che il clero compia gesti di perdono e di riconciliazione» nei confronti del vescovo.

Propaganda Fide riferisce inoltre che Bergoglio «non intende per ora nominare un nuovo vescovo in Ahiara, ma si riserva di continuare ad avere egli stesso una speciale sollecitudine verso quella Diocesi», chiamando a collaborare un nuovo Amministratore Apostolico «al quale concede tutte le facoltà riservate all’ordinario». Auspicio del Papa - «che accompagna con la preghiera questa nuova fase della vita della Chiesa di Ahiara» - è che «con il nuovo Amministratore Apostolico si riprenda la vita ecclesiale e mai più si abbiano azioni che feriscano il Corpo di Cristo».

Le dimissioni di Okpaleke sono state annunciate lo scorso 14 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, dallo stesso vescovo in una lettera pubblica in cui giustifica la sua decisione affermando: «Rimanere vescovo di Ahiara non reca più giovamento alla Chiesa. Non penso che il mio apostolato in una diocesi dove alcuni preti e fedeli laici sono così mal disposti nei miei confronti possa essere efficace».

Al momento della sua nomina da parte di Benedetto XVI, nel 2012, laici e preti della diocesi avevano subito rifiutato il loro nuovo vescovo perché, a differenza del predecessore, appartenente all’etnia Mbaise maggioritaria nella diocesi, proveniva dall’etnia Ibo, maggioritaria nel sud-est della Nigeria, e dallo Stato vicino di Ambra, da cui è originario anche il cardinale nigeriano Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione del Culto divino. «Fin dall’annuncio della mia nomina, ci sono state reazioni violente e resistenze da parte di un gruppo di preti diocesani di Ahiara, di laici e di altri», spiega Okpaleke nella missiva.

Il 15 febbraio 2013, il pastore aveva chiesto «umilmente» di prorogare di alcune settimane il momento della sua Consacrazione episcopale e della presa di possesso della diocesi, nella speranza di un miglioramento della situazione. «La richiesta fu approvata - scrive il vescovo - la situazione non migliorò, ma alla fine venni consacrato il 21 maggio 2013, fuori della diocesi, nel Seminario maggiore di Ulakwo, Owerri, a causa della situazione nella diocesi».

Opkaleke non ha mai potuto prendere possesso di Ahiara, ed è stato costretto a risiedere fino ad ora ad Awka : «Sono cinque anni, due mesi ed una settimana dalla nomina pontificia. Anche gli interventi della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e della Segreteria di Stato non hanno dato i frutti desiderati», afferma nella sua lettera. «I dettagli degli sforzi di pacificazione e le reazioni violente e irrazionali di alcuni preti e fedeli di Ahiara sono ancora disponibili su internet».

Di fronte a questa situazione insostenibile, già nel luglio 2013 Papa Francesco aveva nominato come amministratore apostolico il cardinale John O. Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. Il porporato era stato ricevuto lo scorso 8 giugno in udienza privata dal Papa con una delegazione della diocesi guidata dall’arcivescovo di Abuja, che comprendeva anche l’arcivescovo metropolita di Owerri, monsignor Anthony Obinna, l’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, monsignor Ignatius Kaigama. Insieme a loro anche lo stesso Okpaleke. Della delegazione, inoltre, facevano parte anche i sacerdoti Clement O. Ebii, Jude N. Uwalaka, Uhuegbu Innocent Olekamma, insieme a suor Bernadette O. Ezeyi e al laico Stanley Pius Iwu, capo tradizionale.

La delegazione aveva incontrato anche il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, Fernando Filoni, e i superiori dello stesso Dicastero, «con i quali – si poteva leggere in una nota diramata dal Vaticano – è stata esaminata largamente la penosa situazione della Chiesa in Ahiara». Nell’udienza il Papa, «dopo attenta valutazione», aveva parlato della «non accettabilità della situazione in Ahiara e si è riservato di prendere gli opportuni provvedimenti». 

 

Due giorni dopo quell’udienza era stato diffuso il discorso integrale tenuto da Francesco alla delegazione nigeriana. «Chi si è opposto alla presa di possesso di monsignor Okpaleke – aveva detto il Pontefice - vuole distruggere la Chiesa e compie peccato mortale». «Ritengo che qui non si tratti di un caso di tribalismo, ma di appropriazione della vigna del Signore» aveva continuato Francesco, paragonando i fedeli ribelli ai «vignaioli assassini» di cui parla il Vangelo di Matteo «che vogliono appropriarsi dell’eredità».

 

Bergoglio assicurava di conoscere «molto bene le vicende che da anni si trascinano nella diocesi» e ringraziava il vescovo, emarginato e umiliato, «per l’atteggiamento di grande pazienza» dimostrata. «Ho ascoltato e riflettuto molto, anche sull’idea di sopprimere la diocesi; ma poi ho pensato che la Chiesa è madre e non può lasciare tanti figli come voi. Ho un grande dolore verso questi sacerdoti che sono manipolati, forse anche dall’estero e da fuori diocesi». 

 

Quindi il Papa aveva dato indicazioni molto precise: anzitutto «che ogni sacerdote o ecclesiastico incardinato nella diocesi di Ahiara, sia residente, sia che lavori altrove, anche all’estero, scriva una lettera a me indirizzata in cui domanda perdono». Tutti, nessuno escluso, perché «tutti devono scrivere singolarmente e personalmente; tutti dobbiamo avere questo comune dolore». Nella lettera «si deve chiaramente manifestare totale obbedienza al Papa», e «chi scrive deve essere disposto ad accettare il vescovo che il Papa invia e il vescovo nominato». La lettera doveva essere spedita entro 30 giorni: «Chi non lo farà ipso facto viene sospeso a divinis e decade dal suo ufficio».  Decisioni severe e ultimative: «Questo sembra molto duro, ma perché il Papa fa questo?», domanda. La risposta è nel Vangelo: «Il Popolo di Dio è scandalizzato. E Gesù ricorda che chi scandalizza, deve portarne le conseguenze. Forse qualcuno è stato manovrato senza una piena cognizione della ferita inferta alla comunione ecclesiale».

 

Nonostante l’intervento autoritativo del Pontefice, le resistenze e le polemiche non si erano placate. «Non sono in grado di dire il numero di coloro che hanno obbedito alla richiesta del Papa» scrive infatti monsignor Okpaleke nella lettera.

La consapevolezza di non poter più procedere con il braccio di ferro ha fatto sì che il vescovo contestato e la Santa Sede concordassero, dopo la lunga via crucis, l’uscita di scena del vescovo contestato. L’ho fatto «per il bene di tutti i fedeli di Ahiara, specialmente coloro sono rimasti fedeli in una Chiesa locale controllata da alcuni preti», spiega il presule. «Considero le mie dimissioni come la sola opzione corretta per facilitare la rievangelizzazione dei fedeli e, molto più importante e urgente, i preti di Ahiara, specie ora che il Santo Padre e i suoi collaboratori della Curia romana possono distinguere i preti che affermano la loro lealtà al Santo Padre e coloro che hanno deciso di ritirarsi in disobbedienza dalla Chiesa cattolica». Ringraziando tutti quelli che gli hanno offerto supporto in tutti questi anni difficili, monsignor Okpaleke «invita tutti i preti dissidenti a riesaminare le motivazioni iniziali di diventare sacerdoti nella Chiesa cattolica. Sono urgenti pentimento e riconciliazione».

Stimato canonista con predisposizione al comando, il vescovo di Ahiara resta per il momento senza diocesi ma è probabile che appena si presenterà la possibilità, gliene sarà affidata un’altra. Quanto alle motivazioni di natura tribale che hanno fatto scoppiare inizialmente il caso: è possibile che a queste se ne siano aggiunte altre di diversa natura, anche a motivo del fatto che da anni il clero si è abituato di fatto ad andare avanti senza vescovo.

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