Il bello di Silvio Orlando è che resta Silvio Orlando qualunque cosa faccia. A volte è un vantaggio. Prendiamo la sua partecipazione a Torino Spiritualità con il romanzo “La vita davanti a sé” di Romain Gary. Dovremmo essere a Parigi nel dopoguerra, dovremmo trovarci nel quartiere di Belleville, e cioè in una periferia piena di razze, colori, lingue, religioni, ma con Orlando, con il suo modo di essere e di recitare, questa Parigi arcobaleno diventa Mediterraneo, suk, Napoli. Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano.

Certo il romanzo è straordinariamente bello. E questo aiuta. Gary è uno scrittore di alta levatura. Non a caso l’editore Neri Pozza ne sta pubblicando l’intera produzione o quasi. Quando scrisse “La vita davanti a sé” in Francia era dato per finito. Ma lui sorprese tutti vincendo per la seconda volta il Goncourt. Fu un caso unico nella storia. Per statuto non si può vincere quel premio due volte. Ma, all’insaputa di tutti, persino del proprio editore, Gary vi partecipò con lo pseudonimo di Emile Ajar. La verità fu scoperta dopo la morte per suicidio avvenuta ne 1980: un colpo di pistola al cuore sulla vestaglia rossa affinché non si vedesse il sangue.

Protagonista di “La vita davanti a sé” è Momo, un bambino di dieci anni allevato e cresciuto da Madame Rosa, una ex prostituta ebrea di novanta chili e con pochissimi capelli in testa che, in cambio di un mensile che non sempre arriva, fa da mamma a una decina di bambini figli anch’essi di prostitute. Per la legge francese alle prostitute era vietato crescere figli, ecco il motivo di quel singolare, vociante, litigioso, piscioso ospizio infantile, una famiglia in cui si mescolano cristiani, ebrei, musulmani.

Madame Rosa è malatissima. Conserva sotto il letto una fotografia di Hitler e nei momenti in cui è particolarmente giù di corda le basta darle un’occhiata per ricordarsi a che cosa è scampata e per sentirsi allegra. Accanto a lei Momo scopre il mondo che gli sta intorno e che sembra privo di padri, poiché, per definizione, i figli delle prostitute non hanno un padre. In questo universo femminile fanno eccezione il signor Hamil, un vecchio venditore di tappeti musulmano che insegna a Momo tutto quello che sa, e quello strano ibrido di Madame Lola, un senegalese che adesso è un trans e prima era stato un campione di boxe. E’ in questo circo di razze e di lingue che Momo scopre l’amore: l’unico sentimento che giustifica il vivere.

Il racconto è lieve, poetico, realistico e ha punte di soave umorismo; ritrae i personaggi con mano altrettanto lieve e felice e Silvio Orlando sembra nuotarvi come dentro un mare felice. Tecnicamente il suo è un reading: e cioè leggio, fogli, lettura e via andare. In realtà non è così. Fin dalle prime battute, malgrado il leggio, le sedie, i fogli, le bottigliette d’acqua sparse sul pavimento, Orlando fa capire che quel personaggio e quelle parole gli si sono impigliati dentro, si sono fusi con lui, e perciò li vive, gli dà corpo e anima, vi distilla umorismo e dolcezza. E non c’è niente di male se sullo sfondo e nelle sfumature ti fa balenare Napoli. Del resto lo sanno tutti che Napoli è il mondo e il mondo è Napoli.

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