La «promozione di efficaci strumenti giuridici» insieme ad «una concreta collaborazione a molteplici livelli da parte di tutti i gruppi interessati», usando «strategie ramificate» volte a punire i criminali ed assistere le vittime. È la proposta dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, per contrastare la piaga del traffico di esseri umani, diffusa ormai, in forme diverse, in tutto il mondo.

Intervenendo ieri presso la sede delle Nazioni Unite di New York all’evento dal titolo “Un appello per la fine del lavoro forzato, la schiavitù moderna e il traffico di esseri umani”, svolto a margine dell’assemblea generale, il “ministro degli Esteri” vaticano ha richiamato subito le parole di Papa Francesco e il continuo appello a lavorare «per mettere fine al lavoro forzato, alla moderna schiavitù e al traffico delle persone». 

Ha quindi sottolineato «la costanza dell’impegno della Santa Sede» nel combattere questi fenomeni che «avvelenano la società umana, corrompono i loro esecutori e rappresentano un supremo disonore per il Creatore». Già da oltre mezzo secolo «la Chiesa cattolica ha fortemente condannato come infamie la schiavitù, la prostituzione, la vendita di donne e bambini, e vergognose condizioni di lavoro nelle quali le persone sono trattate come strumenti di guadagno piuttosto che come esseri umani liberi e responsabili», ha rammentato l’arcivescovo. 

E ha ribadito l’opera del Vaticano di prevenzione e lotta a tali crimini, condotta a stretto contatto con i principali attori sociali sia nel settore pubblico che in quello privato, a cominciare dal governo britannico attraverso vari livelli e numerose iniziative. Una di queste è il Gruppo Santa Marta, «la cui efficacia – ha detto Gallagher - sta nella stretta collaborazione tra le istituzioni che fanno rispettare la legge e le istituzioni della Chiesa che assistono le vittime e le accompagnano nel ritorno alla vita normale». 

L’esperienza, ha aggiunto, ha mostrato che le vittime di questi crimini «diffidano delle autorità civili» ma «confidano le loro storie più facilmente al personale religioso, specialmente alle suore, che possono costruire la loro fiducia nella legge e fornire loro un rifugio sicuro e altre forme di assistenza». Proprio le suore «sono state centrali in questo lavoro, che spesso ha luogo in situazioni dominate dalla violenza», ha sottolineato il presule, «esse formano una rete a molteplici livelli per coordinare i loro sforzi e condividere le pratiche e le risorse migliori, massimizzando il loro impatto».

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