«L’America tornerà a vincere come mai prima», e da questo successo nascerà «un nuovo orgoglio nazionale, che curerà le nostre divisioni». È la scommessa su cui Donald Trump ha giocato la sua presidenza, durante l’Inauguration di ieri.

Nessun passo indietro rispetto ai toni duri della campagna elettorale, nessuna concessione agli avversari, piuttosto la convinzione che la sua ricetta «rifarà grande l’America», e questo convincerà anche chi ieri protestava nelle strade di Washington a unirsi dietro la sua leadership.

Sotto una pioggerella che secondo il reverendo Franklin Graham era «il segno della benedizione di Dio», Trump ha cominciato il discorso di appena 16 minuti ringraziando gli Obama. E questa è stata l’ultima mano tesa, tanto agli avversari quanto ai compagni del Partito repubblicano, a parte il ringraziamento a Hillary Clinton per essere venuta, fatto però solo durante il brindisi del successivo pranzo ufficiale. Il nuovo presidente, infatti, è andato subito all’attacco dell’establishment, che lo ha avversato fino all’ultimo: «La cerimonia di oggi ha un significato speciale, perché non stiamo semplicemente trasferendo il potere da un’amministrazione all’altra, ma lo stiamo restituendo da Washington a voi, il popolo». Quindi, ha affondato il colpo, accusando in pratica i quattro ex presidenti e tutti i politici presenti sul palco di aver tradito lo spirito della democrazia americana: «Troppo a lungo un piccolo gruppo nella nostra capitale ha raccolto i frutti del governo, mentre la gente ha sopportato i costi. I politici hanno prosperato, ma i posti di lavoro sono andati via e la fabbriche hanno chiuso. L’establishment ha protetto se stesso, ma non i cittadini del nostro Paese. Tutto ciò cambia, qui e ora. I dimenticati non saranno più ignorati».

Parole di un leader populista, che servivano insieme a spiegare la sua sorprendente vittoria di novembre, e ringraziare gli elettori della classe media e bassa che l’hanno resa possibile. «Abbiamo creato un movimento senza precedenti, basato su questo principio: una nazione esiste per servire i suoi cittadini».

Trump ha dipinto un quadro quasi apocalittico dell’America: «Madri e bambini ridotti in povertà nelle nostre città, fabbriche chiuse, scuole che non insegnano, criminalità e droga che uccidono. Ma questa carneficina - ha promesso - finisce qui e ora».

Il presidente, poi, ha allargato lo sguardo al mondo: «Per troppo tempo abbiamo arricchito le industrie straniere a spese di quelle americane, abbiamo aiutato le forze armate degli altri e ridotto le nostre, difeso i confini degli altri e rifiutato di proteggere i nostri. Oggi emaniamo un nuovo decreto, che verrà ascoltato in ogni città, capitale straniera, centro di potere. Da oggi in poi, una nuova visione governerà la nostra terra. Da oggi in poi sarà America First». L’America prima di tutto, uno slogan isolazionista, che secondo i suoi critici rivela l’intenzione di abdicare alle responsabilità internazionali della superpotenza, che si considera leader del mondo libero: «Ogni decisone verrà basata sull’interesse dei lavoratori e le famiglie americane. Non imporremo il nostro modello, lo lasceremo brillare come esempio per tutti. Proteggeremo i confini dal saccheggio che gli altri Paesi fanno dei nostri prodotti: rubano le nostre compagnie, distruggono i nostri posti di lavoro. La protezione porterà prosperità e forza. Ripoteremo lavoro e sogni». Trump non è sceso nei dettagli di come realizzerà questi obiettivi, ma ha puntato molto sulla ricostruzione delle infrastrutture nazionali: «Seguiremo due semplici regole: compra e assumi americano».

Sul piano delle relazioni internazionali «cercheremo amicizia e buona volontà con le nazioni del mondo, sapendo che ognuno ha il diritto di mettere i propri interessi al primo posto. Rinforzeremo vecchie alleanze e ne formeremo nuove, uniremo il mondo civilizzato contro il terrorismo islamico radicale, che sradicheremo completamente dalla faccia della Terra». Terrorismo islamico, il termine che Obama si rifiutava di usare, per evitare il conflitto tra le civiltà profetizzato da Samuel Huntington. Trump ha concluso i suoi 16 minuti per cambiare il mondo, invitando gli americani a «pensare in grande, a non accettare più i politici che parlano solo e non combinano nulla». Nascerà il «nuovo orgoglio nazionale», riunificherà un Paese molto diviso: «Rifaremo l’America forte, ricca, orgogliosa, sicura. E sì, insieme rifaremo grande l’America».

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