L’illuminista Anders Chydenius, parlamentare del governo svedese, lo diceva già 250 anni fa: «È di tutta evidenza che la libertà di stampa e di scrittura è uno dei baluardi più forti di una libera organizzazione dello Stato». Senza la libertà di stampa «l’educazione e la buona condotta sarebbero distrutte… nei pensieri, nei discorsi e nei comportamenti prevarrebbe la grossolanità e la penombra oscurerebbe l’intero cielo della nostra libertà in pochi anni». Il 2 dicembre 1766, il Parlamento svedese adottò la prima legge costituzionale al mondo sulla libertà di stampa. Lo stesso anno, in Italia, la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione inseriva il libro «Dei delitti e delle pene» dell’illuminista Cesare Beccaria nell’indice dei libri proibiti.

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Oggi si celebra il 250° compleanno della legge svedese che diventò esempio in tutto il mondo. Ma la strada in molti Paesi è ancora lunga. Italia inclusa. Secondo l’ultimo rapporto annuale di Reporters Sans Frontieres il nostro Paese perde quattro posizioni, scendendo dal 73° posto del 2015 al 77° (su un totale di 180 Paesi) del 2016. L’Italia è il fanalino di coda dell’Ue (che è comunque l’area in cui c’è maggiore tutela dei giornalisti), seguita soltanto da Cipro, Grecia e Bulgaria e preceduta da Tonga, Burkina Faso e Botswana. Come sempre le nazioni scandinave si trovano in cima alla graduatoria. Finlandia, Olanda e Norvegia conquistano il podio, la Svezia si piazza all’8° posto. I risultati dell’ultima edizione del rapporto mettono in evidenza una situazione globale in peggioramento con l’Europa e i Balcani in cima alla classifica di peggioramento.

L’edizione 2017 dirà se il Foia approvato lo scorso maggio dall’Italia, quel Freedom of information act che dà la possibilità a qualunque cittadino – giornalisti inclusi - di richiedere e ottenere dalla pubblica amministrazione dati, informazioni e documenti, risolleverà il Paese da un posto in classifica di cui Anders Chydenius non andrebbe fiero.

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