Le maestre d’asilo come pure i macchinisti, tanti edili e tanti infermieri potranno accedere all’anticipo pensionistico senza dover subire penalizzazioni. Alla vigilia del varo della legge di bilancio l’ultimo incontro tecnico governo-sindacati ha infatti messo a fuoco gli ultimi dettagli dell’Ape. Sono spuntati a sorpresa nuovi paletti e ci sono state molte conferme a partire dal fatto che il pacchetto previdenza, che serve a superare alcune rigidità della legge Fornero, sarà finanziato con 6 miliardi in tre anni, salvo poi prevederne appena 1,5 per il 2017.

Come funziona

L’Ape, nelle sue varie articolazioni (volontaria, social e imprese) entrerà in vigore il primo maggio 2017. Prevede una penalizzazione annua media del 4,5-4,6%%, anziché il 5-7% ipotizzato nelle scorse settimane, per effetto di una detrazione fiscale (50%) che consentirà di abbattere l’onere del prestito ponte che dovrà essere attivato con le banche tramite l’Inps. E, novità dell’ultima ora, potrà essere richiesta anche da chi rimane al lavoro, come integrazione al reddito.

Sperimentazione di 2 anni

Si parte, in via sperimentale, coi nati tra il 1951 ed il 1953 (nel 2018 poi si passerà alla fascia 1952-1955) che potranno andare in pensione una volta compiuti i 63 anni, e quindi potranno sfruttare al massimo 3 anni e 7 mesi di prestito ponte. Prestito che andrà poi restituito in 240 rate (20 anni) una volta maturati i requisiti per ottenere la pensione. Per un reddito netto di 1000 euro (vedere grafici sopra) la decurtazione oscilla dunque tra i 45 euro al mese nel caso l’anticipo sia di un solo anno ed i 161 euro per chi lascia a 63 anni. Poi si sale progressivamente sino ad una decurtazione di 157-564 euro per chi guadagna 3500 euro. Questo come minimo, perché è immaginabile che ai redditi più alti venga corrisposta una minore detrazione fiscale. Gli interessati dovranno quindi fare bene i conti e considerare anche che con tre anni di minori versamenti la pensione finale sarà più bassa di circa l’8% (visto il montante contributivo più basso) e che si perdono pure tre anni di accantonamenti di Tfr.

Il nodo dei 36 anni

A sorpresa, rispetto impegni presi nel corso delle trattative delle scorse settimane, il governo ha deciso di alzare in maniera considerevole i requisiti contributivi per accedere all’Ape social: anziché 20 anni ne serviranno almeno 30 nel caso il lavoratore si trovi in cassintegrazione e 36 in tutti gli altri casi.

La soglia di reddito sotto la quale lo Stato si fa carico di tutti gli oneri relativi al rimborso del prestito è stata fissata a 1350 euro (1100 netti) contro il 1650 chiesti dai sindacati. Sopra questa soglia la penalizzazione verrà calcolata solamente sulla quota eccedente questo importo. Quindi è stata definita la platea dei cosiddetti lavori faticosi che potranno usufruire di questo trattamento agevolato. Si tratta di maestre d’asilo, macchinisti e autisti di mezzi pesanti, lavoratori del settore edile e di alcune fasce delle professioni infermieristiche, come gli addetti alle sale operatorie. Ovvero quei lavoratori la cui gravosità del lavoro (pesante o rischioso) e la permanenza al lavoro in età più elevata aumenta il rischio di infortunio o di malattia professionale. Poi potranno beneficiare dell’Ape social anche disoccupati, persone senza reddito, invalidi, lavoratori con carichi di cura legati alla presenza di parenti di primo grado conviventi con disabilità grave.

Sindacati scontenti

La Cgil ha sparato a zero contro il governo. Susanna Camusso: «Ha cambiato le carte in tavola e all’ultimo ha introdotto criteri per escludere le persone». Secondo il segretario confederale della Uil Domenico Proietti «la platea va ampliata abbassando gli anni di contributi richiesti ed alzando la soglia di reddito, altrimenti si rischia di compromettere il buon lavoro fatto». A tutti risponde il ministro del Lavoro Poletti: «Bisogna tenere in equilibrio una serie di elementi, ma siamo già molto vicini a quanto ipotizzato in partenza».

Le nuove quattordicesime

Per tutti i pensionati con assegni che non superano i mille euro arriva un aumento della quattordicesima: da 100 a 150 euro per chi già la riceveva e da 336 a 504 per quelli che il prossimo luglio la riceveranno per la prima volta. In tutto si tratta di circa 3,3 milioni di persone.

L’operazione, che ha un costo stimato in circa 600 milioni di euro, ai pensionati che percepiscono un assegno sino a 752,84 euro al mese (ovvero 1,5 volte il trattamento minino Inps) assicura un aumento del 30%. La loro quattordicesima (vedere grafico in alto) passerà infatti da 226 a 437 euro per chi ha fino a 15 anni di contributi, da 420 a 546 per chi ha fino a 25 anni di contributi e da 504 a 655 per chi ha più di 25 anni di versamenti. In totale questa platea è composta da 2 milioni e 170 mila persone: 640mila con meno di 15 anni di contributi, 1 milione e 78 mila compresi nella fascia 15-25 anni e altri 409mila con più di 25 anni di versamenti.

Per chi riceverà per la prima volta l’assegno extra (redditi fino a 1003,78 euro, ovvero due volte il trattamento minimo Inps) valgono i vecchi trattamenti: fino a 15 anni di contribuzione l’assegno sarà di 336 euro, per salire a 420 fino a 25 anni di versamenti e toccare i 504 euro da 25 anni in su. In questo caso sono 1 milione 150 mila le persone interessate: 261 mila sotto ai 15 anni di contributi, 477mila sotto la soglia dei 25 anni e altri 412 mila sopra. Altra novità confermata l’aumento della «no tax area» che per tutti sarà equiparata a quella dei lavoratori privati a quota 8.125 euro.

Ricongiunzioni gratuite

Per agevolare l’uscita dal lavoro il governo introdurrà altre due modifiche: riguardano le ricongiunzioni dei contributi e una modifica dei criteri relativi ai lavori usuranti. Nel primo caso è previsto il cumulo gratuito dei contributi previdenziali maturati in gestioni pensionistiche diverse, inclusi i periodi di riscatto della laurea, ai fini sia delle pensioni di vecchiaia sia di quelle anticipate. Questa norma vale per tutte le gestioni che rientrano sotto l’ombrello dell’Inps mentre non riguarda le asse private. Ai lavoratori occupati in mansioni usuranti, quelle fissate dall’apposita legge, verrà invece concessa la possibilità di anticipare la pensione di 12 o 18 mesi anche rispetto all’attuale normativa agevolata.

Precoci via con 41 anni

Sciolto anche il nodo dei lavoratori precoci, ovvero tutti quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima della maggiore età. In base all’intesa raggiunta da governo e sindacati questa fascia di lavoratori potrà accedere alla pensione con 41 anni di contributi. Bisognerà però avere gli stessi requisiti previsti per l’accesso all’Ape social, ovvero essere disoccupati senza ammortizzatori sociali, disabili o rientrare nelle categorie dei lavori faticosi (edili, maestre d’asilo, infermieri macchinisti, ecc.) e soprattutto avere versato almeno 12 mesi di contributi prima dei 19 anni. A favore dei precoci saranno eliminate le penalizzazioni sul trattamento pensionistico previste per coloro che escono prima dei 62 anni che sarebbero dovute tornare in vigore nel 2019.

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