Questo Papa è troppo dialogante con l’Islam, troppo cedevole. Da mesi il fronte duro dei cattolici anti-Bergoglio martella con insistenza, nella galassia dei blog, contro Francesco. Il Papa non avrebbe il coraggio di dire chiaro e tondo chi è l’avversario principale della fede cristiana in questo momento storico: l’Islam. Non parlerebbe di Asia Bibi, né delle innumerevoli vittime dell’Isis, dei cristiani perseguitati nei Paesi a maggioranza islamica. Questa accusa di ignavia portata al Pontefice è, in realtà, un pretesto con cui lo si vuole colpire. Come ogni analista serio può documentare, il rifiuto di Francesco di criminalizzare l’Islam, di andare alla guerra santa dell’Occidente “cristiano” contro di esso, è la miglior strategia per combattere l’ideologia dello Stato islamico. Il Papa, perfettamente consapevole che il conflitto religioso attuale è, innanzitutto, una conflitto interno all’Islam non vuole regalare l’intero mondo musulmano all’Isis. Non vuole fare ciò che vuole la destra occidentale la quale, identificando Islam ed Isis, realizza il sogno programmatico di Daesh.

Una conferma di ciò viene ora dall’ultimo numero, il 15, della rivista “Dabiq”, il magazine ufficiale dell’Is pubblicato ogni mese anche in inglese. Il motto della copertina è eloquente: Break the cross (“Rompi la croce”). Lo slogan è accompagnato da una foto di un jihadista, con la bandiera nera del Califfato, che distrugge una croce alla sommità di una chiesa. Nel servizio principale, al centro della rivista, troviamo la foto di Francesco con il sottotitolo: «Nelle parole del nemico». Il numero della rivista rappresenta un invito alla lotta contro l’avversario cristiano: «Tra questa pubblicazione di Dabiq e il prossimo massacro che verrà eseguito contro di loro dai soldati nascosti del Califfato i crociati possono leggere perché i musulmani li odiano e li combattono». Siamo di fronte, com’è evidente, ad una strategia che prende di mira, per la prima volta in modo sistematico, il mondo cristiano. In questo orizzonte, come scrive Marco Ansaldo su Repubblica.it, «colpisce, soprattutto, la veemenza dell’attacco al Pontefice. Nessun gruppo jihadista aveva mai fatto nulla del genere, né Al Qaeda, né altre frange salafite che da 15 anni hanno lanciato una guerra totale contro l’Occidente. Lo scontro non era mai stato focalizzato contro il Vaticano, né tantomeno personalizzato contro la figura del Papa. Ora con il territorio del Califfato stretto d’assedio, il Daesh alza il tiro. E lo fa con un’invettiva pubblicata pochi giorni dopo l’uccisione di padre Jacques Hamel, il parroco di 86 anni sgozzato in Francia da due ragazzini».

Nel numero di “Dabiq” le accuse al Pontefice sono soprattutto due. La prima: di aver pregato per le vittime di Orlando, in Florida, dove nella notte tra l’11 e il 12 giugno sono state massacrate 49 persone in una discoteca frequentata da omosessuali. Il Papa avrebbe qui pregato per persone immorali. Un modo per screditarlo dal punto di vista di una coscienza religiosa rigorosamente puritana. La seconda accusa è, però, quella più significativa, ed è quella di dividere l’Islam, di non assumerlo in blocco come un modello unico rappresentato, nella sua forma ortodossa, dallo Stato islamico. L’Isis, cioè, muove al Pontefice la stessa accusa che gli muove la destra occidentalista, cattolica e laica: di “salvare” un Islam positivo. Nella rivista il vescovo di Roma è ritratto assieme a Ahmed al Tayeb, imam della importante Università islamica Al Azhar al Cairo, considerato qui come un “apostata” per aver definito il cristianesimo «una fede di amore e di pace». Questo incontro tra cristianesimo e Islam è proprio ciò che Daesh paventa, che non vuole. Per questo lo scontro deve essere favorito, mediante attentati sul suolo europeo, in modo che il fossato possa allargarsi e l’odio possa prevalere sul dialogo fraterno. Uno scontro che vede nel Papa il “nemico”, l’avversario per eccellenza. Francesco, con la sua mano tesa ad un Islam non integralista, è l’ostacolo principale alla radicalizzazione dello stesso mondo islamico, la sconfessione clamorosa, da parte del capo di una religione di più di un miliardo di persone, che Dio non è il Dio della guerra ma della misericordia. Per questo, dal punto di vista dell’Isis, la deviazione “crociata” della guerra intraislamica, che divide sunniti e sciiti, si rende obbligatoria.

Paradossalmente se Francesco avesse sposato la tesi di un’opposizione radicale tra cristianesimo e Islam non sarebbe stato un vero avversario, bensì, indirettamente, un prezioso alleato. Avrebbe dimostrato, agli occhi del mondo, che le tesi del Califfato erano giuste e che nessuna coesione è possibile tra i veri credenti e gli infedeli. Quello che i cattolici risentiti con Francesco non capiscono l’Isis dimostra, con una intelligenza politica infinitamente maggiore, di comprendere perfettamente: e cioè che la distinzione tra le interpretazioni dell’Islam è il modo vero per combattere la riduzione teologico-politica dell’islamismo radicale. Il che, ovviamente, non è una bella notizia per la incolumità dei cristiani, sul suolo europeo in particolare.

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