C’era una volta il grande cinema egiziano. Se gran parte del mondo arabo oggi capisce il dialetto egiziano, dal Marocco all’Iraq, è merito della storica industria cinematografica egiziana, degli struggenti film in bianco e nero che raccontano un Egitto che non c’è più, tutto scollature, tacchi e feste danzanti. In Occidente, sono arrivate in parte le interazioni tra grande schermo egiziano e musica, con film in cui comparivano le grandi star della canzone orientale, Oum Kalthoum, Mohammed Abdel Wahab, Farid al-Atrash, Abdul Halim Hafez, o nomi celebri anche da noi, come l’attore Omar Sharif e il regista Youssef Chahine.

Correvano gli anni 40, 50 e 60, poi l’Egitto, più recentemente, si è specializzato nella produzione massiccia di soap opera. Per lunghi anni, nel mese del digiuno sacro di Ramadan, il mondo arabo si incolla dopo l’iftar, il pasto serale consumato dai musulmani per interrompere il digiuno, davanti agli schermi della televisione, a seguire titoli tra una vastissima scelta di serie, soprattutto egiziane. Negli anni, alcune produzioni hanno scatenato polemiche sociali e politiche, innescato discussioni sul ruolo delle donne, sul conflitto israelo-palestinese, sulla religione.

In questi anni è accaduto però qualcosa che ha sconvolto questo scenario: da una parte la crisi economica che l’Egitto vive dopo le rivolte arabe del 2011 e l’instabilità che ha toccato il Paese e dall’altra la concorrenza di Turchia e India indeboliscono un settore ormai quasi mitico. Safiaa Mounir, giornalista economica del giornale egiziano al-Shorouk spiega bene sul sito al-Monitor il declino dei numeri: se durante gli anni passati le serie tv prodotte dall’Egitto e mandate in onda durante Ramadan erano una quarantina, adesso le cifre si sarebbero dimezzate: 20. Il produttore egiziano Mohamed Fawzy ha spiegato alla giornalista che la prima ragione di questo calo sarebbe legata alla crisi economica egiziana: le televisioni private non hanno più liquidità, come ovunque nel mondo scendono le rendite pubblicitarie. Due canali importanti in Egitto come CBC e al-Nahar si sono fusi per fare fronte alle sfide dell’avvenire, il magnate copto Naguib al-Sawiris ha venduto la sua ONTV. Inoltre, le serie televisive nel mondo arabo – un po’ come in Occidente le più seguite serie americane - fanno concorrenza al grande schermo anche in termini di scelta del cast. E il cast costa: quest’anno, per recitare sul set di Ma’moun & soci il celebre attore egiziano Adel Imam è stato pagato 4,5 milioni di dollari.

Se questo è lo scenario, è facile faticare davanti all’avanzata della concorrenza. Sono già diversi anni che le serie televisive turche hanno preso quote del mercato dell’intrattenimento – interessante il fatto che questo abbia sollevato discussioni sociali, visto che la Turchia è più laica di molti paesi islamici della regione e la rappresentazione per esempio della donna sul piccolo schermo è diversa –, e da qualche tempo si è fatta molto intensa la concorrenza dell’India. L’intrattenimento mediorientale non parla più egiziano ma hindi. E nei caffè dal Cairo a Dubai le televisioni mandando in onda signorine vestite in saari che piangono sulle spalle di giovani uomini baffuti in abiti indiani, o incredibili film d’azione con 007 che sfrecciano in motocicletta per le strade di Mumbai. Ci sono circa 35 canali satellitari che trasmettono telenovelas e film di Bollywood doppiati in arabo (l’industria del doppiaggio dall’hindi è fortissima nel Golfo, dove l’amore per l’intrattenimento indiano è cominciato). Nel 2008, il primo canale a trasmettere successi di Bollywood è stato Zee Aflam, con base a Dubai; nel 2013 il gigante Middle East Broadcaster MBC ha dedicato un canale per la programmazione dall’Asia.

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