Un Ramadan di sangue e terrore. L’ordine è partito il 21 maggio, nel lungo discorso audio del portavoce del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, Mohammed al-Adnani. Colpite nel Ramadan. Fate strage di infedeli e apostati nel mese sacro del digiuno. «Attaccare quelli che chiamano civili è meglio e più utile», specificava, e aggiungeva che nella «terra dei crociati», l’Occidente, «non si deve risparmiare il sangue, né esiste qualcuno da considerare innocente».

In Occidente c’è stato il controverso e ancora poco chiaro massacro di 49 persone al Pulse di Orlando in Florida, 12 giugno. Poi l’uccisione di due agenti a Magnanville in Francia, il giorno dopo. Ma nel vasto mondo islamico che va dal Marocco al Bangladesh, è stato un susseguirsi di attacchi rivendicati o attribuiti all’Isis. Ad Aktobe, Kazakhstan, il 6 giugno, 10 morti fra civili e militari. Ad Amman, lo stesso giorno, tre agenti dell’Intelligence e due civili uccisi. A Rukban, ancora in Giordania il 21 giugno, sei soldati uccisi. A Kot, in Afghanistan, venti civili uccisi in un villaggio assaltato e dato alle fiamme il 24. E poi i 43 militari massacrati a Mukalla, nello Yemen, durante la cena dell’Iftar. E, il 27, l’attacco al villaggio cristiano di Al-Qaa, in Libano, sette civili morti. E poi Istanbul, il 28, altre 44 vittime e oltre 200 feriti.

Nell’elenco non ci sono le autobombe che hanno colpito Baghdad, i sobborghi di Falluja, Karbala, Bassora in Iraq. I massacri di civili e militari a Deir ez-Zour in Siria, e a Sirte in Libia. Nel suo discorso del 21 maggio Al-Adnani aveva avvertito che lo Stato islamico avrebbe potuto perdere, ed è stato così, Falluja e Sirte, e forse anche Raqqa, ma non per questo sarebbe stato sconfitto. Era l’annuncio di una futura «ritirata nel deserto», come dopo la sconfitta in Iraq fra il 2007 e il 2008, quando i militanti dell’allora Isi, Stato islamico nell’Iraq, erano rimasti in «poche centinaia». E pochi anni dopo hanno conquistato la Mesopotamia.

La «ritirata nel deserto» è già in atto, anche se Raqqa resiste più del previsto, l’Isis è ancora capace di controffensive brucianti, come quella contro le forze speciali siriane che si erano avvicinate alla sua capitale, quella a Est di Palmira, e quella al confine con la Giordania che ha sbaragliato tre giorni fa una colonna dei ribelli moderati dell’Fsa in marcia verso il posto di frontiera di Abu Kamal. Per conquistare Falluja l’esercito iracheno e la milizia Hashd al-Shaabi hanno perso 1800 uomini. E la capacità dell’Isis di compiere agguati e attacchi suicidi è ancora sostanzialmente intatta.

Il Ramadan di sangue del 2016 insegna questo. Il Califfato dimezzato in territorio e uomini non è meno pericoloso. E il timore è che anche quando sarà cancellato dalla carta geografica continuerà a esistere e a minacciare l’Occidente nascosto sotto uno strato sottile di sabbia.

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