«Ha trasformato in multinazionale una piccola azienda. Di imprenditori come lui ne nasce uno ogni mezzo secolo», sintetizza il sociologo Giuseppe De Rita che, con gli economisti Giorgio Fuà e Beniamino Andreatta, aveva teorizzato quella «via adriatica allo sviluppo» che Vittorio Merloni ha tramutato in fabbriche innovative e in migliaia di posti di lavoro negli Anni 70 e 80.
Da capo del gruppo Indesit e presidente di Confindustria, l’industriale che si è spento ieri a 83 anni nella sua Fabriano e diceva di essere «il più grande tra i piccoli» ha lasciato un’impronta inconfondibile nella storia economica e politica d’Italia. Oggi la camera ardente sarà allestita nello storico stabilimento di Albacina, quello da cui il «modello marchigiano» ha avviato il boom poi esteso al Nord-Est.«Negli anni di piombo, creò il nuovo portando in Italia modelli di produzione all’avanguardia - spiega il fondatore del Censis -. Ha cancellato la scala mobile e, anche con acquisizioni azzeccate, è diventato il 3° terzo produttore mondiale di elettrodomestici». Appena varcata la soglia dei 70 anni, l’Alzheimer lo costringe ad eclissarsi e senza di lui il gruppo marchigiano imbocca una strada che lo conduce alla cessione nel 2014 agli americani della Whirlpool. Durante uno sciopero i lavoratori indossano una t-shirt con il volto di Vittorio e la scritta «Ci manchi». Il manager Andrea Guerra, già ad di Luxottica e consulente del governo Renzi, oggi amministra Eataly. Il suo decennio alla guida dell’Indesit coincide con la maggior internazionalizzazione del gruppo.
«Se non si fosse ammalato Vittorio, a quest’ora saremmo stati noi ad esserci comprati la Whirlpool e non il contrario - afferma -. Aveva una curiosità inesauribile, girava il mondo per studiare le ultime frontiere: dal digitale al controllo di gestione. Andava in America all’Ibm per conoscere i sistemi informatici, non si fermava mai. Aveva in testa sempre la sfida imprenditoriale successiva tra sacrifici, investimenti, prospettive di lungo periodo». E anche in una sconfitta, evidenzia Guerra, «trovava il lato positivo». Una lezione per l’intero capitalismo italiano: «Ha avuto strategia e generosità lasciando spazio ad un management operativo vero». Attento agli scenari geopolitici e culturali, Merloni aveva tra gli interlocutori anche influenti diplomatici, come l’ex ministro vaticano degli Esteri, Achille Silvestrini e «think tank» accademici. Cattolico impegnato nel sociale, si è occupato in particolare della formazione dei giovani. Ai tifosi di calcio resta soprattutto il ricordo dell’Ariston sponsor della Juventus di Michel Platini e Dino Zoff. Con quel marchio, infatti, Fabriano divenne la capitale del «bianco» traghettando un’intera regione dall’economia mezzadrile a quella industriale.
Così nell’ultimo decennio è divenuto proverbiale nelle Marche il rimpianto per l’uscita di scena obbligata di Merloni. «Con lui in campo la crisi non avrebbe prodotto danni simili», è la convinzione diffusa nell’opinione pubblica ed anche tra sindacati e forze politiche. Per la Cgil «di imprenditori come Vittorio Merloni il Paese ha oggi un gran bisogno: riuscì trasformare la sua azienda da realtà regionale a leader mondiale».
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