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I Certificati di Credito Fiscale e John Maynard Keynes

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Riceviamo da Biagio Bossone e Marco Cattaneo e volentieri pubblichiamo questo articolo sui Certificati di Credito Fiscale (CCF). In merito a tale proposta, Guido Iodice e Thomas Fazi hanno espresso alcune critiche in un articolo pubblicato da MicroMega Online che riportiamo di seguito all’articolo di Bossone e Carraneo

Keynes e l’Eurozona

In recenti contributi, risultati tra i più letti su alcuni dei maggiori blog internazionali di economia e finanza, chi scrive ha proposto l’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale (CCF) quale strumento di rilancio della domanda in economie affette da stagnazione, scarso spazio fiscale e impossibilità di utilizzo della leva monetaria e del tasso di cambio: tipicamente le economie in crisi dell’eurozona.

Riteniamo che le caratteristiche di fondo della manovra che proponiamo ne farebbero il più grande intervento di politica economica di stampo keynesiano che sia stato immaginato dal secondo dopoguerra ad oggi. Non soltanto esso innescherebbe uno stimolo fiscale forte in contesti dominati da alta preferenza per la liquidità e da carenza ormai cronica di ‘animal spirits’, ma sarebbe capace di incidere su aspettative che, in assenza di segnali incisivi di svolta, resterebbero fatalisticamente improntate a pessimismo e impoverimento.

Anche alla luce dei commenti critici ricevuti da lettori di nostre precedenti uscite pubbliche, ci fa particolare piacere poter illustrare i contenuti della nostra proposta ai lettori di Keynes Blog, augurandoci che vorranno anche loro far sentire la loro voce (di consenso o dissenso) sull’idea che stiamo cercando di portare avanti e diffondere. Descriveremo, in primo luogo, la struttura dei CCF e spiegheremo il modo in cui la loro emissione agisce sulla domanda aggregata. Suggeriremo quindi alcune possibili misure di salvaguardia da attivare nel caso in cui gli effetti attesi delle emissioni non raggiungessero l’intensità prevista. Infine, richiameremo le ragioni per le quali riteniamo che chi condivide l’impostazione che il grande maestro di Cambridge ha dato alla comprensione della macroeconomia debba essere a favore della nostra proposta.

I Certificati di Credito Fiscale

In un’economia in cui lo Stato non può aumentare la spesa, proponiamo che lo Stato emetta titoli – i CCF – che conferiscono al portatore il diritto a una riduzione di tasse, tributi e ogni altra obbligazione a favore dello Stato, a partire da due anni dall’emissione dei titoli e pari al valore nominale dei titoli stessi. Discuteremo più oltre il perché dei due anni di differimento. I CCF sono titoli trasferibili, possono essere scambiati in euro e possono quindi dar luogo a spesa immediata. Verosimilmente saranno negoziati a uno sconto sul valore nominale di entità analoga a quello applicato su un comune titolo zero-coupon a due anni. Coloro che vendono i CCF vogliono euro per potere spenderli. Coloro che li comprano acquisiscono il diritto a una riduzione fiscale a scadenza (e dunque a risparmi futuri). Gli intermediari finanziari possono acquistarli a sconto da coloro che vogliono venderli e utilizzarli o per riduzioni fiscali a scadenza o per rivenderli a sconto inferiore e ricavarci un profitto.

Lo Stato assegna CCF di nuova emissione a famiglie e imprese. Molte famiglie vorranno convertirli in euro e spenderli in consumi. Le imprese faranno altrettanto e avranno anche la possibilità di utilizzare il minor carico fiscale per ridurre i prezzi e recuperare competitività, evitando in questo modo che l’effetto espansivo sulla domanda interna crei squilibri nei saldi commerciali esteri.

In un’economia depressa, la spesa stimolata dalle emissioni di CCF avrà un effetto moltiplicativo su reddito e occupazione. Le prospettive di rischio creditizio miglioreranno e accresceranno l’incentivo per le banche a riprendere l’attività di prestito per nuove attività di produzione e investimenti. Il nuovo output genererà nuovo gettito fiscale. Le nostre proiezioni indicano che un’iniezione di CCF pari al 10% del PIL su base annua contribuirebbe a chiudere l’output gap in circa tre anni e che un moltiplicatore del reddito di appena 0,8 (assai più basso delle stime prevalenti) basterebbe per far sì che nei due anni di differimento previsti per la scadenza dei CCF lo Stato incassi introiti sufficienti ad evitare incrementi nel rapporto deficit pubblico / PIL.

I CCF possono operare come una quasi-moneta e nulla vieta che il pubblico possa persino utilizzarli come una valuta parallela all’euro. Questa considerazione è stata fonte di varie incomprensioni e ha indotto alcuni a ritenere che l’emissione di CCF comporti un violazione delle regole dell’euro. Nulla di tutto ciò. I CCF sono titoli fiscali: non sono uno strumento di debito, non costituiscono un trasferimento di reddito e non sono una valuta che lo Stato emette per sostituire l’euro. Il pubblico e il mercato, da parte loro, possono farne l’uso che ritengono – anche come moneta – come è vero per qualsiasi strumento finanziario. L’unica cosa che rileva è che i CCF rendono possibile per lo Stato operare un ampio rilancio immediato della domanda finanziato da una riduzione delle tasse a due anni, in una situazione nella quale nessun altra leva è disponibile. I CCF permetteranno al settore privato di monetizzare e spendere oggi i tagli fiscali previsti a due anni e consentiranno un margine di tempo sufficiente affinché il prodotto nazionale stimolato dalla domanda generi introiti fiscali sufficienti a evitare deficit.

Qual è il rischio che il programma non funzioni?

Nessuno, se l’interpretazione keynesiana della crisi in corso è corretta, come si è dimostrata sin dal 2008, e se l’austerità espansiva si dimostra fallimentare, così come ha ampiamente mostrato di essere.

Inoltre, le emissioni di CCF possono essere accompagnate da misure di salvaguardia, da attivare nel caso in cui la crescita dell’output generasse meno introiti fiscali del previsto:

  • lo Stato può annunciare un impegno a finanziare in CCF una quota (presumibilmente piccola) delle sue spese;
  • ai contribuenti possono essere assegnati nuovi CCF a fronte di nuove tasse (ciò sarebbe equivalente a sostituire aumenti delle tasse con dei swap forzosi CFF-euro);
  • i possessori di CCF possono essere incentivati a ritardare l’utilizzo per sconto fiscale dei CCF giunti a scadenza attraverso il riconoscimento di un aumento del valore facciale dei titoli in loro possesso (il che è equivalente a riconoscere un interesse sotto forma di nuovi CCF);
  • lo Stato può raccogliere capitali in euro dal mercato collocando CCF con scadenze più lunghe al posto dei tradizionali titoli di debito.

Queste misure di salvaguardia avrebbero effetti assai meno pro-ciclici di quelli che impone la UE per assicurare gli obiettivi di bilancio e potrebbero accomodare scarti anche significativi fra i surplus di budget primario ottenuti e gli obiettivi prefissati.

Perché Keynes?

Con i CCF, uno Stato che oggi non può permettersi di fare ulteriore spesa in deficit, sostanzialmente:

1. promette a cittadini e imprese un ampio taglio delle tasse a due anni;

2. riflette questa promesse su titoli che cittadini e imprese potranno scontare e monetizzare oggi stesso per spenderle;

3. conta che nei due anni previsti la nuova spesa genererà output e gettito fiscale sufficiente per coprire il costo della riduzione fiscale.

In altri termini, con i CCF uno Stato che oggi non ha spazio fiscale può effettuare una forma di ‘deficit spending’ che prevede uno spending (da parte del settore privato) immediato e un deficit (del settore pubblico) ritardato che peraltro si auto-riassorbirà per effetto del moltiplicatore della spesa. Lo Stato fa ciò emettendo promesse sulle quali non può essere obbligato a fare default e che non sono cambiali di pagamento da ripagare in euro (al contrario degli IOU).

Una grande manovra di stimolo della domanda indotto dallo Stato con effetti moltiplicativi sul reddito e sull’occupazione: riteniamo che a John Maynard Keynes sarebbe piaciuta. E anche parecchio.

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Moneta vuol dire fiducia: perché i CCF rischiano di non funzionare

di Guido Iodice e Thomas Fazi, da MicroMega online

Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi hanno avanzato, in un loro libro edito da Hoepli, la proposta di istituire una forma di “moneta fiscale”, poi rilanciata in un appello promosso da Stefano Sylos Labini e firmato anche da Luciano Gallino e infine meglio esplicitata nell’e-book di MicroMega. I certificati di credito fiscale (CCF) verrebbero emessi dal governo e sarebbero in sostanza dei crediti sulle tasse future (a due anni). Con i CCF, lo Stato potrebbe aumentare la spesa pubblica, ridurre il cuneo fiscale e immettere liquidità nel sistema economico. I CCF sarebbero (quasi-)moneta in più, in modo tale che lo Stato non dovrebbe sostituire parte della sua spesa pubblica in euro con spesa in CCF, ma attivare più spesa grazie a questi ultimi. L’auspicio è che essi vengano percepiti come moneta e utilizzati negli scambi, per lo meno tra imprese e tra imprese e Stato. Secondo i promotori, i CCF si ripagherebbero da soli perché, una volta rimessa in moto l’economia, il PIL tornerebbe a crescere e gli introiti fiscali ad aumentare, coprendo quindi l’ammanco dovuto all’utilizzo finale dei certificati, cioè lo sconto sulle imposte.

Un merito della proposta è che essa esplicitamente riconosce l’impraticabilità e i rischi di un’uscita unilaterale dall’eurozona e pertanto si preoccupa di trovare una soluzione “morbida”. I problemi però sono molteplici. In primo luogo i promotori danno per scontato che l’emissione di questa quasi-moneta non violi i Trattati. Ammesso che sia così, tuttavia è facilmente immaginabile che la Commissione europea chiami lo Stato a rispondere davanti alla Corte di giustizia. L’incertezza sull’esito farebbe precipitare il valore del CCF nei confronti dell’euro, rendendo via via meno efficace il programma. Ammettendo però di superare questo scoglio, un ulteriore problema è costituito dal fatto che i CCF andrebbero sommati allo stock del debito pubblico. Anche qui, i promotori insistono sostenendo che non sia un problema, ma la Commissione potrebbe porre comunque ostacoli che minerebbero la fiducia del pubblico.

In sostanza, i promotori sopravvalutano una affermazione della Modern Money Theory, secondo la quale la moneta legale ha valore perché con essa si pagano le tasse. Se fosse così semplice, allora nessun paese soffrirebbe mai di crisi monetarie e di iperinflazione, né vedremmo economie che ruotano di fatto intorno a valute estere (basti pensare all’Islanda prima della crisi del 2008). Nella realtà la moneta legale, come qualsiasi moneta priva di valore intrinseco, è fiduciaria e quindi ha valore in base alla credibilità di chi la emette. Chi ha una banconota da 100 euro in tasca sa che c’è un impegno, da parte dell’emittente, a fare in modo che essa sia scambiabile tra un mese o un anno con un paniere di prodotti il cui valore reale sarà, nel peggiore dei casi, solo di poco inferiore a quello odierno (è questo il senso del target inflazionistico). O che, se non bassa, l’inflazione sia almeno stabile e perciò prevedibile. Viceversa i cittadini di paesi che sperimentano tassi di inflazione elevati e crescenti per lungo tempo, alla fine, perdono fiducia nella moneta legale esattamente come la perderebbero in un assegno firmato da un noto protestato, e si rivolgono alle monete emesse da soggetti più affidabili (tipicamente gli Stati Uniti). Sia chiaro, non si sta dicendo qui che l’Italia farebbe la fine dello Zimbabwe, ma semplicemente che un dubbio sul valore futuro dei CCF li renderebbe pressoché inservibili come stimolo alla domanda.

Supponendo tuttavia di superare a pieni voti il test dell’incertezza, si pone paradossalmente il problema della possibile tesaurizzazione dei CCF. Per quanto riguarda la parte utilizzata per i trasferimenti, il pubblico potrebbe semplicemente decidere di non spenderli, ma detenerli fino a quando potranno essere usati per pagare le imposte, peraltro l’unico momento in cui il valore dei CCF potrebbe essere considerato sicuro ed uguale a quello facciale. In tal caso, l’effetto moltiplicativo sarebbe nullo e lo Stato si troverebbe con un buco di bilancio imprevisto.

Non vogliamo tuttavia apparire troppo demolitori nei riguardi di questa proposta. Al contrario, essa contiene in nuce qualche buona idea che potrebbe essere effettivamente applicata. L’importante è non cadere nell’illusione di un keynesismo “meccanico” o “idraulico”, nel quale l’immissione di nuova acqua fa girare il mulino dell’economia, checché ne pensino gli agenti economici (per inciso, Keynes non era affatto un keynesiano “idraulico”).

Se la proposta dei CCF è prona alle critiche testé illustrate, a maggior ragione lo è quella immaginata da alcuni in caso i default di uno Stato all’interno dell’eurozona, seguito dall’emissione di “euro-cambiali” che verrebbero utilizzate come liquidità sostitutiva. Il modello spesso richiamato è quello dello Stato della California che nel luglio 2009, di fronte ad una grave crisi delle proprie finanze, emise delle “promesse di pagamento” (Registered Warrants) per pagare i dipendenti pubblici, i fornitori e coloro che vantavano diritti a rimborsi fiscali per 2,37 miliardi di dollari. L’esperimento non fu propriamente un successo: appena pochi giorni dopo l’emissione iniziale, le principali banche si rifiutarono di accettare questi “pagherò” (o come li chiamano gli americani, IOU, che sta per I Owe You, “io ti devo”). Solo dopo ingenti tagli di spesa e aumenti delle imposte decisi dallo Stato, alcune di esse tornarono sui loro passi e ricominciarono ad accettare i Warrants. Se l’operazione ha mostrato i suoi limiti in California, lo Stato con il reddito più alto nel paese più ricco del mondo, la speranza che funzioni in luoghi come i PIIGS è pressoché nulla, sebbene possa rivelarsi l’unica, disperata, opzione se non si vuole uscire dall’euro. In tal caso, si può immaginare che il pubblico possa dare fiducia agli IOU a seguito di un accordo europeo che dia una qualche certezza sul fatto che gli “euro-pagherò” si potranno trasformare in euro “veri” entro un tempo ragionevole. In caso contrario non si capisce come la gente possa dare valore a pezzi di carta che riportano una promessa di pagamento in euro firmati da un governo che ha appena dichiarato la propria insolvenza su debiti in euro.

9 commenti su “I Certificati di Credito Fiscale e John Maynard Keynes

  1. Per quanto riguarda il benestare della UE, è ovvio che ci farebbero la GUERRA, indipendentemente dal fatto che l’emissione di CCF sia ammessa dai trattati.

    Stiamo parlando di una via UNILATERALE, ma intelligente, di tirarsi fuori dalla dittatura finanziaria dell’euro.

    Per quanto riguarda la Fiducia, i CCF sarebbero immediatamente spendibili, in Italia, in quanto siamo al paese al mondo con il maggior carico fiscale.

    Se per caso chi incassa i CCF non ha tasse da pagare, potrà comunque usarli per scontarsi l’IVA (22%, non poco) sui propri acquisti o sicuramente avrà qualche fornitore che ha delle tasse, subito, da pagare.

    Inoltre i CCF sarebbero i benvenuti per le decine di migliaia di aziende che aspettano di essere pagate dallo Stato (50 – 90 miliardi di euro?), le quali preferirebbero certamente essere pagate subito in CCF, piuttosto che attendere 2-3 anni per essere pagate in euro, moneta rara e poco circolante in Italia.

    Stiamo parlando del rilancio dell’economia reale, non di aumentare i risparmi dei pochi risparmatori ancora rimasti in Italia.

    Una volta che i CCF verranno accettati da molti, inizieranno a circolare come moneta corrente.
    E se i lavoratori accettano pagamenti in CCF, gli investitori faranno investimenti anche in CCF, usando gli euro per i pagamenti esteri o per i “risparmi garantiti”.

    I CCF circolerebbero come moneta parallela, non come moneta sostitutiva dell’euro.

    Sul debito pubblico ci sarebbero effetti positivi, in quanto l’aumento di investimenti in CCF rilancerà l’economia interna (i CCF non potranno essere usati per importare merci tedesche o cinesi) e, quindi, aumenteranno anche gli investimenti in euro, da cui maggiori entrate in euro per lo Stato e una crescita del PIL in euro.

    Il confronto con la situazione della California non regge.
    Primo perché negli USA le tasse sono molto basse, mentre in Italia sono alte, per cui rendono gli IOU italiani molto più spendibili.
    Secondo perché in Italia siamo in situazione di profonda recessione e di credit crunch, con un mercato che ha fame di liquidità, mentre in California l’economia andava bene, erano solo il debito pubblico ad essere elevato.

    E’ probabile che anche in Italia, inizialmente, le banche facciano le schizzinose.
    Ma l’economia interna italiana accetterà molto volentieri questa iniezione di liquidità.
    E a quel punto anche le banche si adatteranno al mercato.

  2. Per quanto riguarda la compatibilità con i trattati, la cosa dovrebbe essere valutata e non lo so se e in che forma; non so per esempio se, nel caso non lo fosse, converrebbe pagare multe dopo qualche anno, mentre intanto il moltiplicatore sarebbe entrato in circolo creando un effetto leva che sarebbe comunque conveniente. E’ un rischio. Le obiezioni sollevate nel post sono ragionevoli e potenziali, rispetto alla realtà. Per impedire (in parte) la possibilità, che comunque in teoria esiste, di tesaurizzazione, si può ricorrere all’obbligo per chi possiede i certificati di procedere prima di tutto a compensazione con F24; compensazione infra-annuale e da dichiarazione. Norme simili sulle compensazioni esistono già. La finalità influisce sulla circolazione, indubbiamente, quindi l’uso deve essere cogente.

    • La compatibilità con i trattati è una questione politica.
      Germania e Francia hanno spesso violato i trattati, senza che nessuno contestasse nulla.
      Anzi, la Germania continua a sforare sull’eccesso di esportazioni, ma nessuno dice nulla.

      Per questo la misura la si introduce se ci conviene.
      Se altri protesteranno, la questione sarà discussa a livello di politica estera.
      Non possiamo sentirci “legalmente” vincolati a trattati che distruggono la nostra economia.

  3. Dovreste fornire il quadro macroeconomico della manovra, comprese le ipotesi che fate (valore dei moltiplicator ecc)

    • Piergiorgio Gawronski.

      Le consiglio di leggere il libro di Cattaneo e Zibordi in cui si forniscono tutti i dettagli tecnici della proposta.

    • Marco Cattaneo in particolare, nell’ebook di Micromega uscito un mese fa, http://temi.repubblica.it/micromega-online/%E2%80%9Cper-una-moneta-fiscale-gratuita-come-uscire-dallausterita-senza-spaccare-leuro%E2%80%9D-online-il-nuovo-ebook-gratuito-di-micromega/ ha prodotto tabelle di simulazione con ipotesi di moltplicatore e anche di deficit pubblico ed estero. L’articolo qui sopra non aveva link al libro di Hoepli del 2014 con anche Warren Mosler e questo di Micromega, ma ci sono circa 700 pagine di testo a riguardo solo in questi due libri, più dozzine di altri articoli, basta digitare “CCF” o anche “Moneta complementare”.
      In quanto co-autore preciserei che non ci si può aspettare un effetto “alla Laffer” in cui la riduzione di tasse (o l’aumento delle velocità di circolazione degli euro creata dalla prospettiva di avere riduzioni di tasse) copra il deficit quando i crediti fiscali vanno a scadenza,
      La particolarità di questa idea di “quasi moneta complementare” è che utilizza crediti fiscali DIFFERITI DI DUE ANNI il che aiuta da una parte ad aggirare i trattati UE, ma dall’altra crea una svalutazione (perchè se li uso per pagare l’IMU il mese prossimo so che lo stato me li accetta a 100 e non li cedi per meno di 97 o 98, se li utilizzo nel 2017 è tutta un altra storia e li posso anche vendere per 75)

  4. Sono d’accordo con Davide Gionco, i trattati vanno riscritti. Effettivamente le trattative contengono sempre una buona serie di ricatti, espliciti e non…..eleganti o meno. Ci vorrebbe una classe politica che sta da parte del popolo italiano e che sappia il fatto suo.

  5. Scusate, una domanda da inesperto . Ma se fosse così facile aggirare i trattati, perchè non prevedere che anche gli altri paesi dell’eurozona (nordici o del sud) potrebbero fare la stessa cosa con i CCF? Sbaglio o sarebbe come un ritorno alle valute libere di svalutarsi col c.d ritorno alle monete sovrane sganciate dalla BCE, per cui poi anche la germania potrebbe fare come vuole?

  6. […] “I Certificati di Credito Fiscale e John Maynard Keynes”, Keynes Blog, 20 luglio 2015 (https://keynesblog.com/2015/07/20/i-certificati-di-credito-fiscale-e-john-maynard-keynes/). [2] Si vedano su Reuters, “German "wisemen" say euro zone states should be able […]

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