La mancata applicazione delle tabelle milanesi legittima il ricorso in Cassazione.

La mancata applicazione delle tabelle milanesi legittima il ricorso in Cassazione.
Ancora una volta la Corte di Cassazione affronta la questione della rilevanza delle tabelle milanesi in materia di risarcimento del danno nella RCA.
Giovedi 28 Maggio 2015

Il fratello della vittima di un incidente stradale agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno morale patito in conseguenza del decesso del congiunto e, dopo i due gradi di giudizio di merito, propone ricorso per Cassazione lamentando “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c.. in quanto erroneamente la corte di merito aveva quantificato il danno morale sofferto, quale fratello della vittima, in base alle Tabelle di Genova anziché di quelle di Milano.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10263/2015, nel censurare la decisione della Corte di Appello, evidenzia i seguenti principi:

  1. In tema di liquidazione del danno l'equità deve essere intesa nel significato di "adeguatezza" e di "proporzione", assolvendo alla fondamentale funzione di "garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale", con eliminazione delle "disparità di trattamento" e delle "ingiustizie.

  1. I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato.

  2. Una valida soluzione è quella costituita dal sistema delle tabelle, che sono uno strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all'art. 1226 c.c e di addivenire ad una quantificazione del danno rispondente ad equità, nell'effettiva esplicazione di poteri discrezionali, e non già rispondenti ad arbitrio.

  3. Le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 Cost.; la Corte è quindi giunta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione.

  4. I parametri delle Tabelle di Milano devono essere presi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, sottolineandosi che incongrua è la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire.

  5. La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi comprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,

  6. Alla luce di quanto sopra evidenziato, per gli ermellini la corte del merito ha disatteso gli enunciati principi, laddove ha affermato che "dev'essere applicato, nel caso in esame, il consueto criterio di liquidazione del danno non patrimoniale a persona abitualmente in uso presso il Tribunale di Genova, del quale questa Corte condivide il fondamento", nonché laddove la stessa ha ritenuto "congrua" la liquidazione operata dal giudice di prime cure, "seppure con l'inesatta dizione della non convivenza", in quanto "comunque compresa nello scaglione di liquidazione del danno a fratelli conviventi".

 Leggi la sentenza

 

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