Paracadutisti francesi al confine tra Niger e Libia, aerei radar della Nato avvistati a Palermo: ci stiamo preparando alla guerra, si chiede il oggi il Daily Mail pubblicando le immagini aeree di presunte grandi manovre? Da settimane si dice e si scrive che la situazione in Libia sta precipitando e gli oltre 11 mila migranti arrivati in tre giorni sulle coste italiane aggiungono pressione a un’emergenza di cui il premier Renzi ha parlato a lungo nel suo incontro con il presidente americano Obama. Ma per capire quanto il tempo sia davvero contatissimo bisogna guardare cosa sta succedendo a Tripoli, dove da ieri s’intensificano gli scontri tra le milizie islamiche di Fajr Libya (Alba Libica) e «forze locali» che appoggiano l’esercito nazionale libico (sostenuto dal governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk). Fonti locali parlano di almeno 21 morti all’ospedale di Zawia e di decine di feriti raccolti tra le strade di Tajoura, l’epicentro dei nuovi scontri a una trentina di km a ovest della capitale dove secondo il sito Libya Herald sarebbe stata bombardata una postazione di Fajr Libya.

La reazione di Alba Libia (che nella spaccatura del paese sta con il governo di Tripoli, quello non riconosciuto dalla comunità internazionale) non si è fatta attendere: una breaking news della tv al Arabya parla di «arresti di massa» nel centrale quartiere tripolino di Fashloom e di un numero di morti e feriti in aumento. Il portavoce di Alba Libica Mohamad Shami nega l’avanzata dell’esercito, che guidato dal generale ex gheddafiano Haftar è impegnato nella «riconquista di Tripoli», e ribadisce il pieno controllo di Tajoura.

L’escalation sarebbe iniziata a un posto di blocco, ma tanto a Tajoura quanto a Fashloom sono frequenti gli scontri a fuoco tra le due fazioni in piena guerra civile nonostante i tentativi della comunità internazionale e dei vicini Algeria e Marocco di far sedere i contendenti al tavolo negoziale. Il governo in esilio a Tobruk non è mai di fatto retrocesso dalla posizione di voler riconquistare Tripoli con la forza e i tentativi dei mediatori non hanno per ora prodotto nulla.

L’Unione Europa (d’intesa su questo con gli altri mediatori) preme un governo di unità nazionale con il quale eventualmente concordare operazioni di «sicurezza e difesa» con un mandato Onu. Le ipotesi sono diverse, dal sostegno al monitoraggio dei cessate il fuoco locali con un contributo aereo della UE fino alla messa in sicurezza delle infrastrutture strategiche e delle frontiere libiche (gli edifici governativi con la creazione di una «green zone» a Tripoli, il porto e l’aeroporto della capitale, gli impianti petroliferi ma anche i confini regionali attraverso il rafforzamento delle missioni civili esistenti in Mali e Niger). Si discute anche di «operazioni di sorveglianza marittima» che avrebbero il mandato di bloccare «il contrabbando di armi e munizioni e monitorare le attività dei terroristi legati allo Stato Islamico». Quest’ultimo intervento interesserebbe la zona a sud dei limiti dell’attuale operazione Triton e dovrebbe essere approvato dai paesi vicini, primi fra tutti Tunisia e Egitto (che appoggia con forza il governo di Tobruk e il generale Haftar). Il premier Renzi ha ribadito negli Stati Uniti - dove la crisi è seguita con attenzione con la speranza di un aiuto da parte dei paesi del Golfo - che l’Italia è pronta ad assumere la leadership diplomatica della soluzione per la Libia ma la “condicio sine qua non” resta il difficilissimo accordo tra le due principali fazioni in lotta, le forze islamiche d Tripoli e i «laici» di Tobruk.

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