José Mourinho che vince un trofeo è tornata a essere una notizia, il che la dice lunga su come l’ego dello Special One, oggi Happy One, in questi 30 mesi da zero tituli abbia subìto colpi in giro per l’Europa: ultimamente più di lui vanno di moda il guru Guardiola e il suo fantaBayern, l’Ancelotti che l’ha sostituito a Madrid alzando subito la Decima inseguita invano per tre anni (e tre semifinali), perfino l’odiato Pellegrini che l’anno scorso con il City gli ha soffiato la Premier League. Per questo aveva definito la finale di Coppa di Lega, il più umile dei trofei d’Inghilterra, la «più importante» della sua carriera.

Ora che questa coppetta l’ha portata a casa, 2-0 al Tottenham firmato Terry e Diego Costa, 914 giorni dopo l’ultimo hurrà in Supercoppa di Spagna, Mourinho è più simile a se stesso, tornato a fare quello che gli piace di più e - diciamolo - gli riesce meglio: vincere. I 21 titoli raccolti in 12 anni (7 al Chelsea sui 14 dell’era Abramovich) sono l’unica cosa in grado di mettere d’accordo la metà del mondo che lo ama qualsiasi cosa faccia o dica e l’altra, che anche stavolta l’avrà gufato da lontano sperando restasse qualche mese in più a mani vuote. «A 52 anni è importante sentirsi felice come un bambino», ha detto lasciando Wembley. Il suo secondo ciclo in Blues è finalmente cominciato.

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