Scorte di propaganda, come è andata a finire

Oggi Istat ha pubblicato il dato finale della stima del Pil italiano del secondo trimestre, quello che aveva spinto alcune scimmiette e cocoriti renzisti a gridare al miracolo perché il contributo della domanda interna alla crescita era risultato nullo anziché decrescere, come invece ci aveva abituati a fare negli ultimi trimestri. Ciò era quindi visto come vaticinio della stabilizzazione della domanda interna, anche grazie al magico bonus da 80 euro, secondo i sopracitati cocoriti. In quella circostanza, il vostro umile titolare aveva invitato ad attendere il dato definitivo, per capirne di più. Ora quel dato è arrivato, ed è come temevamo.

In dettaglio, il contributo dei consumi al Pil nel trimestre è nullo, contro il +0,1% dei due trimestri precedenti. Trivellando il dato, scopriamo che i consumi pubblici hanno variazione nulla e quelli delle famiglie confermano il +0,1% trimestrale (la somma dà zero per arrotondamento). Poi, gli investimenti sottraggono lo 0,2% trimestrale al Pil, ed anche il commercio estero ci tradisce, a meno 0,2% trimestrale.

Che dato manca? Quello delle scorte, che Istat rende noto solo sulla stima finale del Pil trimestrale, cioè oggi. Ebbene, nel secondo trimestre 2014 le scorte hanno contribuito al Pil per lo 0,2%. Che significa, ciò? Che le aziende, che nel primo trimestre avevano visto un decumulo di scorte (così come nel quarto trimestre 2013), nel secondo hanno lavorato per ricostituire il magazzino. Almeno in prima approssimazione, visto che non possiamo sapere se questo accumulo di scorte è volontario o involontario, in questo secondo caso frutto del rallentamento congiunturale.

Che significa, tutto ciò? Una cosa molto semplice: che, al netto delle scorte, il contributo alla variazione congiunturale del Pil della componente nazionale di domanda è stato negativo. E con questo mettiamo a nanna scimmiette e cocoriti renzisti, con le loro lisergiche inferenze. Del resto non è colpa loro se discettano di argomenti che non padroneggiano, giusto?

Ultima cosa: poiché abbiamo un premier che ha dirottato il discorso pubblico verso un assai pericoloso short-termismo (cioè ad impiccarsi al singolo dato, sovraintepretandolo per manifesta ignoranza), condito con gli immancabili tiè all’indirizzo degli scettici-gufi, vi segnaliamo pure che il dato sul mercato del lavoro italiano a luglio, oltre ad un aumento di disoccupazione dal 12,3 al 12,6%, evidenzia anche una contrazione del numero di occupati, stimata nel mese a 35.000 unità. Questo con buona pace delle trombe del premier, che già vedeva la riforma del tempo determinato come generatore di occupazione per il solo fatto di aver recuperato in maggio e giugno il numero di posti persi nel bimestre precedente. Quanto sono rumorosi i singoli dati, vero?

Caro Matteo, meno chiacchiere e meno divinazioni su singoli dati, per favore. Solo in questo modo eviterai di farti prendere a ceffoni dalla realtà. Ci arrivi, a questo concetto?

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