La cornucopia della spending review

Si discute e si discuterà del post di ieri di Carlo Cottarelli, che pare essere soprattutto la decisione del commissario per la revisione della spesa pubblica di smettere di ingoiare rospi e di farsi bollire a fuoco lento. Non abbiamo particolari motivi per difendere Cottarelli, nel senso che prendiamo atto che da subito l’ex dirigente del FMI si è trovato, nel governo Renzi, come una sorta di “ingombro”, proprio perché ereditato dal precedente esecutivo. Interventi di riduzione e riqualificazione della spesa pubblica sono la quintessenza del politico, e come tali devono essere pienamente assunti dal premier pro-tempore. Utilizzare uno “specialista” come Cottarelli (o, in passato, come Enrico Bondi) pare essere al contempo un tentativo di dare crisma “tecnico” alle decisioni mentre si appresta la via di uscita, lasciando (in caso) al proprio destino il malcapitato tecnocrate senz’anima. In questo senso, Cottarelli è perfetto per recitare il ruolo della “anomalia”. Ma c’è anche una anomalia nella anomalia, ed è la denuncia fatta ieri da Cottarelli in merito alla apparente prassi politica di farsi scudo della cornucopia della spending review per aprire di fatto la strada a nuove spese, senza preventiva valutazione del loro merito.

Il meccanismo, secondo Cottarelli, funziona in questo modo: si introducono nuove spese (ad esempio il finanziamento del pensionamento degli insegnanti giunti a “quota 96”) e si trova copertura non già con quelle tagliate dalla spending review ma non ancora determinate (perché questo sarebbe giuridicamente infattibile) bensì con l’abituale “clausola di salvaguardia” fatta di tagli lineari. Una prassi del genere è geniale, a ben pensarci, e col senno di poi si giustifica tutta la grancassa politico-mediatico-propagandistica a favore del concetto di spending review, che ad un certo punto era divenuta davvero una sorta di gonnellino di Eta Beta, da cui può uscire di tutto, dalle palline di naftalina per lo spuntino ad un autotreno. Non che la cosa sorprenda più di tanto: questo è il paese che è riuscito a finire sotto una montagna di debito (quello formatosi prima dell’entrata nell’euro, ricordate?) pur avendo in Costituzione l’articolo 81, quello nella formulazione originaria. Che, sulla carta, aveva già i denti per evitare troppe licenze poetiche sulla spesa senza copertura. E invece.

In questa fase storica tutti sapevamo, o dovevamo sapere, che la “revisione” (cioè il taglio) della spesa pubblica, in questo paese, sarebbe stata dolorosa e molto problematica. Invece, per lunghi mesi, è valso il mantra e la frase magica: “spending review!”, e passava la paura. Ora il re è nudo, come sempre, più di sempre. Ma chi è il re, esattamente?

Scrive Cottarelli:

Se il Parlamento legittimamente decide di introdurre nuove spese dovrebbe contestualmente coprirle con tagli di spesa non lineare di pari entità, individuandoli per esempio tra le proposte di revisione della spesa già presentate dal Commissario in passato. Mi sembra che usare presunti tagli lineari – in apparenza molto diluiti sull’intera amministrazione – per la copertura di nuove spese riduce il costo politico inevitabilmente legato all’individuazione di coperture vere, concrete, selettive. Inoltre con questo atteggiamento si finge di dimenticare che mentre una revisione selettiva della spesa ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione a parità di prestazioni, i tagli lineari possono produrre per alcuni servizi una inevitabile riduzione delle prestazioni.

Questa ci pare la frase che riassume il pensiero di Cottarelli. Esiste il rischio di una vera e propria sostituzione di spesa pubblica con altra spesa pubblica, con un ulteriore scadimento di efficacia ed efficienza della spesa, che in questo paese risultano notoriamente molto basse. Cottarelli individua poi una priorità assoluta per l’impiego delle risorse liberate dalla revisione, ed è obiettivo ovviamente condivisibile:

«[…] se si utilizzano risorse provenienti da risparmi sulla spesa per aumentare la spesa stessa, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre la tassazione su lavoro. Condizione, a mio giudizio, essenziale per una ripresa dell’occupazione in Italia»

Dopo questo sfogo, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha prontamente commentato che trattasi di critica non all’esecutivo bensì ad “alcune prassi parlamentari”. Può essere ma il problema politico resta, visto che il partito del premier è casualmente quello di maggioranza. Le prossime settimane diranno se si consumerà il divorzio tra Cottarelli ed il governo Renzi, cosa che al momento appare sempre più probabile. Sarebbe comunque un momento di chiarezza, e metterebbe Renzi di fronte alle sue autentiche responsabilità, in ambito di riqualificazione della spesa pubblica, dandogli anche la grande opportunità di dimostrare che la sua vocazione a creare coperture fantasmatiche (vedasi i famosi ottanta euro), è solo frutto della malevolenza dei soliti gufi disfattisti.

Se così non fosse, se cioè Renzi proseguirà nelle sue prassi fantasiose, flessibili e parolaie, aspettatevi entro fine anno l’uscita anche di Padoan, magari sostituito da qualcuno esperto in slides PowerPoint. Dopo di che, se la congiuntura proseguirà come pare mettersi, basterà tendere l’orecchio all’orizzonte, per ascoltare il suono dei motori degli elicotteri della Troika. Però in quel caso vi diranno che è un contratto di flessibilità “con i nostri partner internazionali”. E forse conviene sperare in questo scenario, perché la farsa è come il gioco: diverte quando dura poco.

AggiornamentoBene così, serve chiarezza, assunzione di responsabilità e rivendicazione del “primato della politica”. E lì vi aspettiamo, serenamente.

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